Spinoza: monismo panteistico, morale e libertà

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In questo articolo trattiamo il pensiero del filosofo razionalista olandese Baruch Spinoza (1632-1677), sostenitore di un sistema monistico e panteistico.

Biografia e opere

Biografia

Opere

Titolo originale Titolo tradotto Anno di pubblicazione
Korte Verhandeling van God, de Mensch en deszelvs Welstand Breve trattato su Dio, l’uomo e il suo bene 1660
Tractatus de Intellectus Emendatione Trattato sull’emendazione dell’intelletto 1662
Principia Philosophiae Cartesianae Principi di filosofia cartesiana 1663
 Tractatus Theologico-Politicus Trattato teologico-politico 1670
Tractatus Politicus Trattato politico 1675-1676 (incompiuto)
Ethica More Geometrico Demonstrata Etica dimostrata con ordine geometrico 1677
NA Epistolario 1661-1677
Compendium grammatices linguae Hebraeae Compendio di grammatica ebraica 1677
Opera Posthuma Opera Postuma 1677

Il concetto di sostanza in Spinoza

L’intero pensiero metafisico di Spinoza si basa sul concetto di sostanza. Di questo concetto, forniamo adesso due definizioni, una generica, che fa riferimento anche all’etimo del termine, ed una più particolare, quella del pensiero spinoziano.

Sostanza (in generale)
Il termine sostanza deriva dal latino substantia, ovvero, ciò che sta sotto. Substantia traduce il greco ousía che significa sostrato. L’idea generale di sostanza, che si può far risalire ad Aristotele, è quella di qualcosa che permane, nonostante i cambiamenti accidentali in un oggetto individuale. Ad esempio, la persona è la stessa anche se ad un certo punto della sua vita i suoi capelli scuri diventano bianchi. Il colore dei capelli è una proprietà accidentale, mentre ciò che permane ciò che “sta sotto” e che rende l’oggetto ciò che è e non un’altra cosa,  è, appunto la sostanza.   
Sostanza (secondo Spinoza)
Il concetto di sostanza nello spinozismo è definito dall’Autore nel seguente modo:

Ciò che è in sé e per sé si concepisce, vale a dire ciò il cui concetto non ha bisogno del concetto di un’altra cosa da cui debba esser formata1

Soffermiamoci sull’espressione in sé e per sé:

  • con l’espressione in sé – traducibile con da sé – intende dire che la sostanza deve la sua esistenza solo e soltanto a sé stessa (causa sui); la sostanza gode di autonomia ontologica;
  • con l’espressione per sé [si concepisce], il filosofo intende affermare che il concetto di sostanza è primitivo, ovvero, per esser compreso, non ha bisogno di concetti ulteriori e diversi; la sostanza gode anche di autonomia concettuale.

Le proprietà della sostanza di Spinoza

Così per come la abbiamo definita, la sostanza non pare, in effetti troppo diversa dall’essere di Parmenide. Ed in effetti, la sostanza spinoziana e l’essere parmenideo condividono alcune caratteristiche. La sostanza spinoziana infatti è:

  • increata, in quanto è causa sui
  • eterna
  • unica

 

Diversamente dall’essere parmenideo, la sostanza non è finita, ma infinita, e ciò si deve alla diversa connotazione dell’infinità tra gli antichi Greci – connotazione negativa – e gli Europei moderni – connotazione positiva.

Il monismo panteistico: Deus sive Natura

Ora, questa sostanza si identifica con Dio ed è la Natura stessa. Come afferma Spinoza:

Deus sive Natura

Il filosofo olandese non concepisce la divinità come una persona o come un giudice morale, ma come un sistema, una matrice ontologica. Spinoza, ancora, non ritiene che l’esistenza di Dio debba esser dimostrata: che Dio, inteso come sostanza/Natura esista è un principio autoevidente.

Ciò non toglie che il filosofo accetti due dei classici argomenti a favore dell’esistenza di Dio:

  • la prima è la prova ontologica, ovvero quell’argomento a priori fornito per primo da da Anselmo d’Aosta e poi ripreso da Descartes;
  • la seconda è la prova a posteriori, ripresa da molti filosofi tra cui Tommaso d’Aquino, in base alla quale, seguendo in via ascendente le cause delle cose del mondo, vi deve essere una causa suprema, che è appunto causa di se stessa (causa sui).

 

Ora però, se Dio (o la Natura) è infinito ed unico e coincide con tutto, allora definiremo il pensiero ontologico di Spinoza monismo panteistico.

Monismo Panteismo
Si dice monistico  qualsiasi sistema di pensiero che preveda un unico e solo principio a cui tutta la realtà sia riconducibile. Una visione monistica si oppone ad una visione dualistica o, più generalmente, a una visione pluralistica. Il termine deriva dal greco pan, “tutto” e  theós, “dio”. Letteralmente quindi significa che tutto quanto è Dio e che Dio è in tutte le cose. Dio pertanto è immanente in tutte le cose e nulla è fuori di Dio.

Attributi e modi

Come tutti i filosofi, Spinoza deve poi dare conto, nel suo edificio metafisico, della pluralità degli oggetti che si esperiscono nel mondo. A tal proposito il filosofo elabora le nozioni di attributi e modi. Partiamo definendo i primi:

Attributi 
Spinoza definisce gli attributi nel seguente modo:

[…] ciò che l’intelletto percepisce della sostanza come costituente la sua essenza.2  

In questo senso, gli attributi possono essere visti come le proprietà essenziali, strutturali, della sostanza spinoziana. Essi sono inoltre infiniti, sebbene l’intelletto ne colga solo due: il pensiero e l’estensione.

Dal punto di vista ontologico quindi, dobbiamo notare che sarebbe sbagliato chiamare, nel pensiero spinoziano, il pensiero e l’estensione sostanze. Cogitans ed extensa erano res per Cartesio, mentre nel sistema spinoziano esse sono proprietà costitutive della sostanza.

I modi, dal canto loro, sono definiti invece nella seguente maniera:

Modi
Spinoza definisce i modi nel seguente modo:

Intendo per modo le affezioni della sostanza, ossia, ciò che è in altro, per il cui mezzo è pure concepito.3  

In alti termini, i mondi non sono che modificazioni accidentali della sostanza, concretizzazioni particolari degli attributi.

La metafora della fontana e quella dell’oceano

Allo scopo di chiarire la complessa metafisica della sostanza, dei suoi attributi e dei suoi modi, vogliamo fornire una immagine concreta. Immaginiamo che la sostanza sia una massa d’acqua omogenea. Non potremmo chiamare una massa d’acqua fontana se non avesse almeno un zampillo d’acqua. Dunque, lo zampillo d’acqua è l’attributo, poiché una fontana (la sostanza), per essere definita, tale deve averne almeno uno. Ora in base ai modi infiniti (le leggi fisiche nella nostra metafora), quello/quei zampillo/i d’acqua possono avere un certo numero di forme possibili. Infine, che assumano proprio quelle forme è il modo finito.

Un’altra metafora utile è quella riportata in Abbagnano:

[…] la Sostanza di Spinoza può essere paragonata ad un oceano sconfinato ed eterno; gli attributi, che ne costituiscono l’essenza, all’estensione acquatica: i modi infiniti (che sono le proprietà permanenti degli individui) al movimento incessante del mare; i modi finiti (che sono le determinazioni particolari degli attributi) alle varie onde4.

Sostanza, attributi e modi in Spinoza
Sostanza, attributi e modi in Spinoza

Causalità in Spinoza

Natura naturans e Natura naturata: la causalità immanente

Da quanto detto sinora, possiamo enucleare la concezione della causalità secondo il filosofo olandese. Il concetto classico di causalità è quello noto come causalità transitiva (causa transiens), in base alla quale l’effetto sussiste autonomamente al di fuori della causa. La causalità della sostanza di Spinoza è invece una causalità immanente (causa immanens). Del resto, diversamente non potrebbe essere: se, come affermato in principio, la dottrina del filosofo può essere definita come una forma di monismo panteistico, allora è logicamente conseguente che gli effetti non sono cosa diversa dalla causa.

Dio dunque non è una causa esterna, ma è insieme causa, ovvero Natura naturante, ma anche effetto, ovvero Natura naturata. Inoltre, essendo tale causalità immanente, ed essendo la sostanza unica e infinita, essa può dirsi insieme libera, poiché non costretta da alcunché, ma pure necessitata, poiché deve obbedire alle sue stesse leggi.

Il rifiuto della cause finali

Spinoza non ammette in alcun modo l’esistenza di cause finali. Secondo il filosofo infatti il concetto di causa finale si lega ad una falsa analogia tra l’uomo, abitato ad agire in vista di finalità che vuole conseguire, e Dio.

Io confesso, tuttavia che l’opinione che sottomette tutto a una volontà divina indifferente, e ammette che tutto dipende dal suo beneplacito, s’allontana meno dalla verità che l’opinione di coloro che ammettono che Dio fa tutto in vista del bene. Costoro infatti sembra che pongano fuori di Dio qualche cosa che non dipende da Dio, e a cui Dio guarda, come a un modello, nel suo operare, o a cui egli tende come verso uno scopo determinato.5

Tale analogia è appunto sbagliata. Il finalismo infatti, ponendo nell’ordine delle cause un qualcosa di non disponibile attualmente (ciò che io voglio ottenere), rende imperfetto chi agisce esso. Dio, essendo perfetto, non è manchevole di alcunché, ergo non può agire per cause finali.

Parallelismo psicofisico

Sempre partendo dalla concezione della sostanza spinoziana, possiamo riprendere il problema cartesiano della sincronizzazioni tra res cogitans e res extensa. La soluzione di Descarte, basata sulla ghiandola pineale, era certamente fantasiosa, mentre i suoi contemporanei avevano sposato l’occasionalismo.

Per Spinoza, si può dire che il problema sia posto in maniera differente. Come si è anticipato, pensiero ed estensione non sono due sostanze, ma solo due attributi della sostanza. Essendo attributi della medesima sostanza, pensiero ed estensione ereditano da essa lo stesso ordine e, di conseguenza, possiamo parlare di parallelismo psicofisico. Come scrive lo stesso filosofo:

[…] sia che concepiamo la natura sotto l’attributo dell’Estensione, sia che la concepiamo sotto l’attributo del Pensiero, o sotto qualunque altro attributo6, troveremo un solo e medesimo ordine, o una sola e medesima connessione di cause.7

L’etica

Le affezioni

Tornando al significato del titolo dell’opera di Spinoza, Ethica more geometrico demonstrata, non possiamo che aspettarci che una consistente parte sia dedicata a questioni etiche. Ed in effetti così è. Il filosofo parla in particolare di affetti o affezioni. Questi si dividono in due tipologie:

  • azioni, ovvero modificazioni di cui noi siamo causa;
  • passioni, ovvero modificazioni di cui noi NON siamo causa.

È facile capire dalle stesse radici dei termini che le prime sono attive, siamo noi ad esserne cause, le seconde sono passive, dunque le patiamo.

L’uomo come desiderio

Ora, lo scopo di Spinoza, è quello di utilizzare la maniera geometrica per definire tutto uno spettro di affezioni dell’uomo. Prima di definire per via assiomatica tali affezioni, bisogna seguire il filosofo nella sua definizione dell’uomo come appetito. In particolare il filosofo sostiene che:

Ogni cosa, per quanto sta in essa, tende a perseverare nel proprio essere8.

Tende cioè ad autoconservarsi. L’uomo non fa eccezione: pertanto egli si sforza ad autoconservarsi, e questo sforzo (conatus) prende le forme di una cupiditas (desiderio).

La derivazione geometrica degli  affetti secondari dagli affetti primari

Tale cupiditas è il primo, in ordine logico-gerarchico degli affetti, quello dal quale vengono derivati tutti gli altri. Ad esso si accompagnano poi la Letizia e la Tristezza. Da questi tre affetti seguono poi le definizioni di Amore e Odio (e tutte le altre affezioni):

VI. L’Amore è una Letizia accompagnata dall’idea d’una causa esterna.

VII. L’Odio è una Tristezza accompagnata dall’idea d’una causa esterna.

La questione della libertà umana e l’amor Dei intellectualis

L’uomo, in base a quanto detto sinora, come in Hobbes, cercherà l’utile e il suo bene, sfuggirà al male e al dannoso. Chiariamo subito che in Spinoza non vi è alcuno spazio per il libero arbitrio. L’illusione della libertà è ben spiegata dal filosofo quando scrive:

Gli uomini si credono liberi, perché sono consci dei loro voleri e desideri, ma ignorano le cause per cui sono condotti a desiderare e a bramare.9

L’uomo quindi non può sottrarsi al determinismo della sostanza. Di essa, egli è solo un modo. Se vi è spazio per la libertà nell’esperienza umana, esso è molto limitato, infatti si può parlare di libertà umana solo e soltanto sotto certe condizioni. Non certo per quanto riguarda le affezioni, ma solo nel contesto dell’intelletto.

L’unica soluzione possibile è proprio pensarsi liberi soltanto in quanto ci si concepisce come parte di quell’ordine necessario che è Dio stesso. Tale consapevolezza, tale conoscenza, è chiamata da Spinoza amore intellettuale di Dio (amor Dei intellectualis) e coincide con la beatitudine.

Il pensiero politico

Il pensiero politico spinoziano parte da premesse del tutto identiche a quelle del pensiero di Hobbes. Ne differisce tuttavia per conclusione. Se infatti per Hobbes la migliore forma di governo è la monarchia assoluta, Spinoza sostiene che lo Stato stesso è sottomesso alle leggi (stato di diritto). Uno Stato che non rispetti le leggi che ne costituiscono l’ordinamento o le interpreti e declini secondo l’arbitrio dei governanti distrugge se stesso.

Lo Stato inoltre non deve soltanto tutelare la vita dei cittadini/sudditi, ma anche garantirne la libertà di fede, la libertà di pensiero, la libertà di espressione. Proprio come Locke, Spinoza non crede che la forza coercitiva dello Stato possa modificare il pensiero dei cittadini/sudditi, ma solo, al più censurarlo.

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