La Scuole Eleatica – Senofane, Parmenide e Zenone

Parmenide cover

In questo articolo, il primo di due, trattiamo il pensiero di Parmenide e Senofane. Il primo è il maggiore esponente dell’eleatismo.

Senofane di Colofone e la critica all’antropomorfismo

La tradizione vuole che sia stato Senofane l’iniziatore della Scuola Eleatica, sebbene studi più recenti lo annoverino tra i pensatori della Jonia. Egli fu un filosofo, ma anche un teologo e un poeta: noti sono i suoi versi contro Omero ed Esiodo.

Tuttavia, il lascito più importante che Senofane ci ha lasciato è la critica all’antropomorfismo. L’antropomorfismo era stato favorito dai poemi di Omero ed Esiodo, i quali avevano suggerito la credenza che gli dei avessero fattezze umane (così i vari popoli se li raffiguravano con i tratti tipici della loro etnia), come pure vizi e virtù umane. L’antropomorfismo per Senofane è un che di assurdo, poiché l’unica divinità viene a coincidere con l’universo tutto ed è unica ed eterna. Ecco i famosi frammenti della critica di Senofane:

Omero ed Esiodo hanno attribuito agli dei tutto quanto presso gli uomini è oggetto di onta e
biasimo: rubare, fare adulterio, ingannarsi reciprocamente1.

Ma se i buoi e i cavalli e i leoni avessero mani e potessero con le loro mani disegnare e fare ciò che appunto gli uomini fanno i cavalli disegnerebbero figure di dei simili a cavalli, i buoi simili ai buoi e farebbero corpi foggiati così come ciascuno di loro è foggiato. Gli Etiopi dicono che i loro dei sono camusi e neri, i Traci che sono cerulei gli occhi e rossi di capelli2.

Parmenide di Elea

Parmenide nacque ad Elea (la moderna Velia, in Campania a sud di Paestum) intorno al 500 a.C.. Le sue origini sembrano essere aristocratiche, tanto che la tradizione racconta che egli abbia partecipato a costruire la legislazione della città.

L’unica opera di Parmenide è un componimento in esametri intitolato Sulla Natura, di cui rimangono un certo numero di frammenti. Tale opera consiste di un prologo e di due parti. Per quanto riguarda il prologo, in esso Parmenide, narratore e protagonista, racconta di trovarsi su un carro trainato da cavalle.

Le due vie

Secondo Parmenide l’uomo può intraprendere due vie:

  • la via della verità (aletheia), che è la via razionale che conduce alla coscienza dell’essere;
  • la via dell’opinione (doxa), che è la via dell’apparenza che ci chiude l’accesso alla conoscenza dell’essere.

 

Naturalmente la prima via è quella che i filosofi, discostandosi dai molti, intraprendono e tale via è fondata su due
principi logici: il principio di identità e il principio di non contraddizione.

L’Essere parmenideo

La via della verità segue fondamentalmente la seguente assunzione, basilare per la filosofia eleatica: l’essere è e non può non essere, il non essere non è e non può essere.

Non dobbiamo sottovalutare le implicazioni che questa posizione ha anche nella filosofia del linguaggio. Assumere i principi di non contraddizione e di identità è, insieme, una critica rispetto a quei filosofi della tradizione precedente, come Eraclito, i quali parlavano delle cose mutevoli, periture, dei fenomeni. Parlare di queste cose, che rimangono solo e soltanto nel livello dell’apparenza per Parmenide non permette di capire l’essere in quanto tale. Come spiega bene Cambiano3:

Essi [i filosofi precedenti] parlano di nascere e perire delle cose, ma nascita e morte sono concetti che comportano una mescolanza arbitraria di essere e non essere: nascere vuol dire essere, ma anche non essere prima di essere e morire vuol dire non essere, ma anche essere prima di non essere. Il criterio per giudicare scorretto il linguaggio comunemente usato dagli uomini non è la sua corrispondenza a quanto ci è testimoniato dai nostri organi di senso. A questi difatti appaiono oggetti che nascono e muoiono. Ma il verdetto di Parmenide sul linguaggio e sulle opinioni degli uomini, collegate a quel tipo di linguaggio, non assume a criterio di giudizio le apparenze fornite dai sensi, bensì il contenuto logico delle parole usate dagli uomini. Essi infatti usano parole, nelle quali si prova contraddittoriamente mescolato ciò che è disgiunto radicalmente, ossia essere e non essere. 

Gli attributi dell’Essere parmenideo

Da questa impostazione Parmenide deduce tutta una serie di attributi che caratterizzano l’Essere:

  • Ingenerato e imperituro (eterno): difatti, se non fosse ingenerato e imperituro, nel primo caso non sarebbe per poi essere; nel secondo sarebbe per poi non essere.
  • Immutabile ed immobile: se fosse mobile il suo movimento lo porrebbe in zone dove prima non era, ma ciò non è possibile, in quanto essendo, egli non può non essere sotto alcun aspetto, dunque neanche sotto quello
    spaziale.
  • Finito: questo attributo dipende dalla tipa mentalità greca di cui Parmenide è esponente. La finitezza come perfezione. In questo senso l’essere, come la verità, è paragonato ad una sfera, un pieno totale che non lascia spazio al non essere.
  • Necessario: non vi è la possibilità che l’essere sia possibile o contingente. Deve essere e deve essere necessariamente.

 

In altri termini si può sostenere che l’Essere parmenideo è assoluto. Chiudiamo la nostra breve trattazione di Parmenide citando alcuni dei suoi passi, tra i più significativi, del suo poema:

[. . . ] Poiché c’è un limite estremo, esso [l’Essere]
è compiuto
da ogni parte, simile a massa di ben rotonda sfera,
a partire dal centro uguale in ogni parte: infatti,
né in qualche modo più grande
né in qualche modo più piccolo è necessario che
sia, da una parte o da
né infatti c’è un non essere che gli possa impedire
di giungere
all’uguale, né è possibile che l’essere sia dell’essere
più da una parte e meno dall’altra, perché è un
tutto inviolabile
Infatti, uguale da ogni parte, in modo uguale sta
nei suoi confini.
 

Zenone di Elea e i paradossi

Anche Zenone nacque ad Elea, presumibilmente intorno al 489 a.C. Egli fu sia amico che discepolo di Parmenide, ma diversamente da questi, scrisse in prosa. L’intero pensiero di Zenone può essere considerato come una difesa della filosofia del maestro. Come scrive Abbagnano:

Gli avversari di Parmenide affermavano che, se la realtà è una, come Parmenide ritiene, ci si trovava imbrogliati in molte e ridicole contraddizioni. Zenone risponde che se si ammette, con gli avversari di Parmenide, che la realtà è molteplice e mutevole, si incontrano contraddizioni ancora peggiori. Zenone perciò vuole ridurre all’assurdo le dottrine che ammettono la molteplicità e il mutamento e così riuscire ad una conferma delle tesi di Parmenide.

Prima di vedere le argomentazioni di Zenone, possiamo evidenziare il fatto che esse utilizzano due metodi argomentativi. In particolare esse usano: la reductio ad absurdum, assumendo le premesse degli avversari per poi derivarne delle contraddizioni, e la tecnica del regresso all’infinito. L’utilizzo di questa tecnica fece sì che Aristotele, secoli dopo, considererà Zenone l’inventore della dialettica.

Argomenti contro la pluralità

Rivolgiamoci adesso a queste argomentazioni nello specifico. Zenone presenta due argomenti contro la pluralità:

  • Se le cose sono molte allora il loro numero è insieme finito e infinito. Finito poiché esse non possono essere né più né meno di quante sono. Infinito perché, prese due cose, tra di esse ve ne sarà sempre un’altra, così come la seconda (o la prima) e la terza, e così via.
  • Se si ammette che ogni cosa è costituita da molte unità, allora tali unità non avranno grandezza, ma allora non avranno grandezza neanche le cose che la compongono, o avranno (le unità) grandezza, e dunque le cose composte da infinite unità avranno grandezza infinita.

Argomenti contro il movimento

Analizziamo ora i primi due argomenti contro il movimento, il paradosso dello stadio e quello di Achille e la tartaruga.

Per quanto riguarda l’argomento dello stadio, Zenone arriva  a concludere che è impossibile attraversare uno stadio. Bisognerebbe prima arrivare alla metà di esso, e poi alla metà della metà, e poi alla metà della metà della metà e così via.

Per quanto riguarda invece Achille e la tartaruga, ci serviamo  della rigorosa esposizione fatta da Clark:

Achille corre più veloce della tartaruga e perciò le concede un vantaggio: Achille parte dal punto d1 e la tartaruga dal punto d2. Nel tempo in cui Achille ha colmato il vantaggio concesso all’avversaria, raggiungendo d2, la tartaruga è già in d3. Nel tempo in cui Achille giunge a d3, la tartaruga ha raggiunto d4. Ogni volta che Achille copre una nuova distanza, la tartaruga si è già mossa in avanti. Come è possibile che Achille raggiunga la tartaruga se deve percorrere infiniti intervalli?

Passiamo adesso agli ultimi due argomenti.

  • Argomento della freccia: La freccia che viene scagliata, sebbene appaia in movimento, è in realtà immobile. La freccia, nel suo spostamento, occupa solo e soltanto lo spazio della sua lunghezza. Ma se essa si muove nel tempo, allora per ogni intervallo degli infiniti intervalli di tempo del suo viaggio essa sarà immobile.
  • Argomento delle masse in uno stadio: una massa si muove con una certa velocità rispetto ad un punto fisso, ma a velocità doppia rispetto ad un punto che gli va incontro alla stessa velocità. Per la mentalità di Zenone questo è assolutamente impossibile.

Considerazioni sui paradossi di Zenone

I paradossi di Zenone sono da un lato controintuitivi, poiché negano fenomeni che nel mondo abbiamo la possibilità di vedere tutti i giorni, dall’altro lato sono matematicamente rigorosi. Che essi fossero controintuitivi non creò alcun problema al discepolo di Parmenide, poiché appunto il mondo non presenta la logicità dell’essere. Sul loro rigore matematico possiamo affermare che essi furono sciolti solo in età moderna, con lo sviluppo dell’analisi infinitesimale.

Melisso di Samo

Melisso di Samo nacque intorno al 480 a.C. Della sua biografia abbiamo poche notizie, ma la più rilevante riguarda la sua impresa militare, ovvero la sconfitta che inferse alla flotta ateniese capeggiata da Pericle tra il 441 ed il 439 a.C. Tuttavia gli Ateniesi riuscirono a prevalere ed instaurarono la democrazia a Samo. Di lì a breve a Samo ebbe luogo una rivolta oligarchica che però fu successivamente sedata. Questi eventi indicano l’adesione di Melisso ad una visione oligarchica, avvicinandolo così a Parmenide, per quanto non vi siano testimonianze certe di rapporti diretti tra i due.

Per quanto riguarda il pensiero di Melisso, egli fu l’autore di un’opera in prosa denominata Sulla Natura o Sull’essere. In questa opera egli difende la dottrina del maestro Parmenide, ribadendo la disgiunzione esclusiva tra realtà e mutamento. Egli scrive, nel frammento 7:

Se l’essere mutasse anche solo di un capello in diecimila anni, andrebbe totalmente distrutto nella totalità del tempo.

Tuttavia non vi sono solo concordanze tra la filosofia di Melisso e quella di Parmenide, ma anche differenze. Come ricorda Aristotele, egli rigettò la finitezza dell’essere argomentando a favore della sua infinità sia temporale che spaziale. Come si deduce dal frammento 9, egli sostenne, come Parmenide, l’incorporeità dell’essere:

Se è, bisogna necessariamente che sia uno: ma se è uno non può avere corpo, perché se avesse corpo avrebbe parti e non sarebbe più uno.

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