In questo articolo trattiamo il pensiero del filosofo empirista inglese John Locke (1632-1704), noto anche per essere il padre del pensiero liberale.
Indice
Biografia e Opere
Biografia
Opere
Titolo originale | Titolo tradotto | Anno di pubblicazione |
A Letter Concerning Toleration | Epistola sulla tolleranza | 1689 |
Two Treatises of Government | Due trattati sul governo | 1690 |
An Essay Concerning Human Understanding | Saggio sull’intelletto umano | 1690 |
Some Thoughts Concerning Education | Pensieri sull’educazione | 1693 |
The Reasonableness of Christianity […]1 | Saggi sulla ragionevolezza del cristianesimo | 1695-1697 |
La gnoseologia
Il ruolo dell’esperienza e la critica all’innatismo
Con Locke inizia la corrente filosofica dell’empirismo, particolarmente sviluppata in Inghilterra. A differenza del razionalismo, iniziato da Cartesio, la ragione non è il fondamento della conoscenza. Anzi, essa non è unica o uguale per tutti gli uomini. Come il filosofo inglese scrive:
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La ragione inoltre non è neppure infallibile. Essa può andare incontro a fraintendimenti ed errori legati, tra le altre cose, al linguaggio.
In che modo, dunque, la ragione può dimostrare il suo valore gnoseologico? Assumendo ad ogni modo che deve essere la ragione la guida dell’uomo, il filosofo inglese cerca di indagare i limiti e le possibilità della ragione2 nell’opera Saggio sull’intelletto umano (16903).
Per il filosofo, che rigetta ogni forma di innatismo, la ragione può assolvere con profitto il suo ruolo se, e soltanto se, si attiene ai limiti fornitigli dall’esperienza. Famoso è il paragone di Locke della mente umana ad una tabula rasa (blank slate): la mente umana è sostanzialmente vuota, e tutti i suoi contenuti derivano dall’esperienza.
Supponiamo […] che lo spirito4 sia un foglio bianco, privo di ogni carattere, senza alcuna idea. In che modo verrà ad esserne fornito? […] Da dove si procura tutto il materiale della ragione e della conoscenza? Rispondo con una sola parola: dall’esperienza.5
Servendosi quindi dei contenuti dell’esperienza, e mantenendosi entro i limiti forniti da quest’ultima, la ragione, può evitare di elaborare concetti vuoti, che non hanno alcun riscontro nella realtà. Del resto, e questo è il nucleo della critica lockiana all’innatismo, un’idea esiste solo se viene pensata, e non può essere pensata da nessuno senza che questo qualcuno sia nato.
Le idee semplici
Ma, quali sono i contenuti che l’esperienza fornisce alla ragione? Rispondiamo in prima battuta che essi sono le idee. Questa nozione viene ripresa da Cartesio, tuttavia Locke, come abbiamo visto, esclude che vi possano essere idee innate. Forniamo la definizione di idea presente nell’Introduzione del Saggio sull’intelletto umano:
Idea (Locke) |
[idea è] qualunque cosa che è oggetto dell’intelletto quando l’uomo pensa. |
Idee di sensazione e di riflessione
Risulta chiaro, per quanto detto all’inizio, che l’unica fonte delle idee è l’esperienza. Ora l’esperienza ci giunge tramite due canali, uno esterno ed uno interno. Dal senso esterno derivano le idee di sensazione quali, ad esempio: ruvido, liscio, freddo, caldo, morbido, rosso, blu, amaro, salato, insipido. Locke inoltre accetta la distinzione galileiana tra qualità primarie o oggettive, quelle suscettibili di trattazione matematica, dalle qualità secondarie o soggettive, che dipendono dai nostri organi di senso.
Dal senso interno derivano quelli che, con un linguaggio filosofico contemporaneo, potremmo chiamare gli stati mentali, come ad esempio il credere, il dubitare, il conoscere, il percepire ecc. Questi stati mentali sono quelli che Locke chiama idee di riflessione.
Le idee complesse
Le idee semplici di sensazione e riflessione sono ricevute dall’esperienza esterna ed interna Questo significa che la mente riceve passivamente quei contenuti. Tuttavia esistono anche delle idee complesse. Le idee complesse sono formate attivamente dall’intelletto servendosi delle idee semplici. Se è così, allora per il filosofo inglese non è assolutamente possibile creare idee genuinamente nuove. Ogni nostra idea complessa sarà simile alla Chimera, una bestia mitologica composta da più parti di animali, ovvero un insieme composto da più idee semplici.
Locke afferma quindi che il nostro intelletto, in maniera attiva, compone le idee composte o generali sulla base di quelle semplici. Passa poi a classificare le idee composte in tre tipi:
- sostanza, ovvero l’idea di ciò che sussiste di per sé, come l’uomo, un minerale;
- i modi, ovvero le manifestazioni della sostanza o sue dipendenze, come la gratitudine, il peccato, un’esplosione.
- le relazioni, ovvero il poter collegare più idee, come avviene per il principio di causa, di identità, di non- contraddizione, ecc.
L’idea di sostanza e la critica all’idea di sostanza
Particolarmente importante in Locke è l’argomento intorno alla nozione di sostanza. La nozione di sostanza è un concetto che, nell’età moderna, accomuna moltissimi filosofi. Abbiamo in effetti già trattato Cartesio, Spinoza e Leibniz a tal proposito. Il filosofo inglese, dal canto suo, afferma che la sostanza non è altro che quello che noi immaginiamo unisca diverse idee semplici. Ad esempio, io chiamo uomo, quell’insieme di idee più o meno semplici come mani, bocca, occhi, una certa forma, ecc ecc. Vado ad ipotizzare quindi che vi sia qualcosa che unisce tali idee semplici e che mi permetta di pensare alla loro molteplicità sottò un concetto di unità, proprio grazie a quel qualcosa che sta sotto (substratum) a congiungerle. Tuttavia, è evidente che la sostanza non sia suscettibile di essere esperita, è dubbia anche la sua consistenza ontologica. Ecco come si esprime Locke in proposito:
Se qualcuno chiederà che cosa è il sostrato al quale il colore o il peso ineriscono, si risponderà che tale sostrato sono le stesse parti estese e solide; se si domanda che cosa ineriscano la solidità e l’estensione, non si potrà rispondere che come quell’indiano il quale, dopo aver affermato che il mondo è sostenuto da un grande elefante, fu richiesto su cosa l’elefante poggiasse; al che rispose: su qualcosa che io non conosco affatto. L’idea alla quale noi diamo il nome generale di sostanza non è altro che tale supposto ma sconosciuto sostegno delle qualità affettivamente esistenti.6
Il filosofo quindi sembra indirizzarsi, pur non accogliendola esplicitamente, verso la negazione, o la negazione della assunzione, dell’esistenza della sostanza.
Le idee di relazione e l’identità personale
Come abbiamo affermato, tra le idee di relazione quelle maggiormente importanti, plausibilmente perché più utilizzate – sono quelle di causa-effetto, di identità e di diversità. Locke analizza in particolar modo quella di identità. L’empirista inglese distingue tra uomo e persona. L’uomo è il corpo, la carne, la natura fisica dell’uomo. La persona invece riguarda il mentale. Affinché si possa parlare di identità non dobbiamo pensare alla dimensione fisica, ma a quella mentale. Ogni persona è se stessa anche se l’uomo o la donna che era da giovane è molto diversa dalla persona che sarà da vecchio o vecchia. Dunque, affinché un’identità vi sia, bisogna che vi sia coscienza e memoria dei propri vissuti interni ed esterni. Si noti che il tema dell’identità personale è fondamentale anche dal punto di vista dell’etica e della responsabilità: è legittimo condannare un pluriomicida che non ricordi più assolutamente più nulla dei suoi delitti?
Per approfondire qui troverai un breve video del filosofo Remo Bodei sul tema dell’identità personale.
Le idee generali: astrazione e nominalismo
Le idee generali sono quelle idee che nascono per astrazione. Un esempio di idea generale è mammifero, una categoria che raccoglie animali molto diversi tra loro, come il beluga e il bradipo. Tuttavia, essi hanno qualcosa in comune, e quel qualcosa in comune è ottenuto per astrazione. Locke afferma però che tali idee non corrispondono a generi naturali, ma sono solo segni, segni che l’uomo utilizza per esprimersi mediante il linguaggio. Detto in altri termini, le idee generali, diversamente dalle idee di Platone, non esistono, ma sono equivalenti ai predicati del linguaggio. Dunque il filosofo assume una posizione nominalista.
La conoscenza e le forme di conoscenza
Le idee, per come le abbiamo definite, non sono altro che l’oggetto dell’intelletto umano quando pensa. Cosa dire a proposito della conoscenza? Volendo dare una definizione generale all’interno del pensiero del filosofo empirista, possiamo affermare che la conoscenza è la percezione di un accordo o di un disaccordo tra le idee. In questo senso egli distingue tra due tipi di conoscenza:
- la conoscenza intuitiva: molto banalmente è riconoscere in maniera immediata che il rosso non è blu, che un giraffa è più alta di un topo o che 47 è maggiore di 13. Questa è la forma di conoscenza più certa e dunque affidabile. Come tale essa è anche il fondamento per tutte le altre conoscenze.
- quella dimostrativa: questa forma di conoscenza non è certamente immediata. L’accordo tra idee si raggiunge solo attraverso un mediazione, che è appunto la dimostrazione. Un esempio par excellence è certamente la matematica, poiché è tramite i passaggi logici intermedi che ci rendiamo conto della verità di un teorema, non immediatamente visibile.
Conoscenza, realtà, certezza e probabilità
Abbiamo definito la conoscenza come accordo tra idee. Il che può essere problematico perché si suppone che la conoscenza riguardi il mondo e non solo il nostro pensiero. Locke afferma che esistono tre modalità in cui la realtà si dà:
- l’io: l’esistenza dell’io è garantita dal Cogito cartesiano.
- Dio: l’esistenza di Dio è garantita dal fatto che essendoci un mondo vi deve essere un creatore.
- le cose esterne: sono garantite dalle idee semplici.
Ci soffermiamo in particolare sul rapporto tra idee e realtà esterna. Il filoso non si sofferma, diversamente da Cartesio, sul dubitare della realtà esterna dubitando delle nostre sensazioni. Anzi, la fiducia nelle nostre facoltà è dovuta, a fortiori, che anche se fossimo ingannati, non ce ne accorgeremmo, per accorgercene dovremmo utilizzare quelle stesse facoltà ingannevoli. Questa ovviamente è un’ipotesi estrema tanto è che Locke afferma che per l’esistenza umana la certezza sensibile è più che sufficiente. Infatti:
- se manca l’organo di senso, manca l’idea, ad esempio un cieco dalla nascita non ha l’idea di rosso;
- i sensi si confermano a vicenda: se io vedo una mela, la sua esistenza è confermata dalla vista, ma poi può essere confermata da tatto, gusto, olfatto; o un temporale, la cui esistenza può esser confermata dalla vista, dall’udito e dal tatto.
Accanto alla conoscenza certa, cioè proveniente dalle idee semplici, si può poi parlare di conoscenza probabile. Il fatto che una conoscenza non sia certa ma probabile dipende dalla disponibilità delle idee coinvolte in essa. Dunque posso basare la conoscenza, che quindi è probabile, su basi induttive, su testimonianza o su analogia.
Il pensiero politico
Il diritto naturale e il liberalismo
Differentemente da Hobbes, Locke, pur essendo un giusnaturalista, non ha una concezione negativa della natura umana. Nello stato di natura hobbesiano lo stato di natura era caratterizzato da una guerra di tutti contro tutti (bellum omnia contra omnes) ed ognuno aveva un diritto illimitato che gli garantiva di agire in maniera predatoria ed impunita nei confronti del prossimo. In questo senso possiamo parlare di uguaglianza di forza. In Locke, invece, lo stato di natura si caratterizza con un uguaglianza di diritti, in cui ognuno dispone della vita, della libertà e della proprietà. Come egli scrive:
Lo stato di natura è governato dalla legge di natura, che collega tutti; e la ragione, la quale è questa legge, insegna a tutti gli uomini, purché vogliano consultarla, che, essendo tutti uguali e indipendenti, nessuno deve danneggiare l’altro nella vita, nella salute, nella libertà di proprietà.7
Lo stato civile nasce, pertanto, per evitare che lo stato di natura possa effettivamente divenire quello che per Hobbes era a priori, ovvero uno stato di guerra, gli uomini si riuniscono in società. Si viene così a costituire un potere civile la cui legittimità poggia proprio sul consenso degli individui. Come scrive Locke in proposito della libertà individuale nella società:
[essa consiste] nel non sottostare ad altro potere legislativo che a quello per consenso, né al dominio di altra volontà o alla limitazione di altra legge da quella che questo potere legislativo stabilirà conformemente alla fiducia riposta in lui. 8
Ciò non comporta, diversamente da Hobbes, l’alienazione di tutti i diritti al sovrano. Anzi, per Locke, essendo il popolo la fonte della legittimazione del potere sovrano, il primo può anche destituire il secondo, qualora ledesse i diritti di quello.
La tolleranza e il cristianesimo
L’opera di riferimento a riguardo del tema della tolleranza è l’Epistola sulla tolleranza (1689). Con essa Locke anticipa uno dei temi più importanti dell’Illuminismo.
Il filosofo inglese parte da un confronto tra l’istituzione Stato e l’istituzione Chiesa:
- Lo Stato è “una società di uomini costituita per conservare e tutelare soltanto i beni civili“.
- La Chiesa è “una libera società di uomini che si riuniscono spontaneamente per onorare pubblicamente Dio nel modo che credono sarà accetto alla divinità, per ottenere la salvezza dell’anima“.
Ne segue che Stato e Chiesa agiscono su domini della vita umana completamente diversi e che l’uno non ha alcun potere sulla conduzione dell’altro. Infatti, se lo Stato volesse costringere un gruppo alla conversione fallirebbe certamente:
Se qualcuno vuole accogliere qualche dogma, o praticare qualche culto per salvare la propria anima, deve credere con tutto il suo animo che quel dogma è vero e che il culto sarà gradito e accetto a Dio […] nessuna pena è, in nessun modo, in grado di instillare nell’anima una convinzione di questo genere.9
D’altro canto, lo stesso varrebbe per la Chiesa. La Chiesa, come associazione volontaria, non ha alcun potere coercitivo, che è riservato al magistrato civile. Ciò che una comunità di credenti può fare e allontanare coloro i quali sono giudicati miscredenti, ad esempio con la scomunica. Siffatti provvedimenti, tuttavia, non devono intaccare in alcun modo i diritti civili della persona oggetto di essi.
Separando in maniera così netta così il potere spirituale da quello temporale, Locke ha pertanto gettato una base abbastanza forte a favore della tolleranza. Aggiungiamo, inoltre, che l’estraneità del potere statuale rispetto alla dimensione spirituale dei cittadini o dei sudditi è uno dei principi cardini del liberalismo, di cui il filosofo inglese è riconosciuto come il padre.
Gli intollerabili
La tolleranza, tuttavia, secondo il filosofo empirista, non deve essere onnicomprensiva. Egli esclude infatti che si possano tollerare atei e cattolici. Gli atei non sono tollerabili perché, non credendo in Dio, sono manchevoli di un principio di ordine morale. Del resto, pur riconoscendo la che la religione è spesso autocontradditoria e concettualmente nebulosa, Locke afferma nell’opera Ragionevolezza del cristianesimo (1695-1697), che il cuore teorico della religione cristiana è conforme alla morale razionale. I cattolici, dal canto loro, non sono tollerabili poiché devono la loro obbedienza al papa, e, di conseguenza, possono sentirsi legittimati a disobbedire alla legge civile10.