L’età dell’Illuminismo (1689-1789)

Illuminismo cover

In questo articolo trattiamo l’Illuminismo, il movimento filosofico e culturale sviluppatosi nel corso del Settecento in Europa.

La centralità della ragione

Il termine Illuminismo1 indica un periodo di profonda innovazione culturale che trova il suo spazio tra la fine del Seicento e la fine del Settecento, durando quindi circa un secolo.

Centrale, in quest’epoca, è il ruolo dato alla ragione. Tutti gli illuministi sono accomunati dall’idea che la ragione umana sia lo strumento principale mediante il quale venire a capo dei problemi dell’umanità, sia teorici che pratici.

Che cosa è l’Illuminismo?

La definizione più nota di Illuminismo viene data da Kant2 nello scritto Risposta alla domanda: Che cos’è l’Illuminismo? pubblicato nel 1784 nella rivista Berlinische Monatsschrift. Cosi si apre il noto scritto kantiano:

L’Illuminismo è l’uscita dell’uomo dallo stato di minorità che egli deve imputare a se stesso. Minorità è l’incapacità di valersi del proprio intelletto senza la guida di un altro. Imputabile a se stesso è questa minorità, se la causa di essa non dipende da difetto d’intelligenza, ma dalla mancanza di decisione e del coraggio di far uso del proprio intelletto senza essere guidati da un altro. Sapere aude! Abbi il coraggio di servirti della tua propria intelligenza! È questo il motto dell’Illuminismo.

L’incipit dell’opera kantiana rappresenta quello che potremmo definire il manifesto del movimento illuminista. La fiducia nelle capacità umane, che liberano il proprio potenziale solo quando, liberandosi dalle dande intellettuali della tradizione e dell’autorità precostituita, riescono a raggiungere la piena autonomia.

Continuità con la Rivoluzione Scientifica

Non è pertanto scorretto mettere in relazione l’Età dei Lumi con la Rivoluzione Scientifica. Gli illuministi, come gli scienziati de secoli XVI e XVII, rigettano la tradizione, il dogma e il richiamo al principio di autorità. È in questo periodo che il Medioevo ottiene la sua fama di età dell’oscurantismo, dominata dalla superstizione religiosa.

Le principali scoperte scientifiche durante l’Età dei Lumi

Anche l’Età dei Lumi fu poi attraversata da una serie di scoperte scientifiche di grande rilevanza. Ne elenchiamo alcune:

  • Scoperte sull’elettricità. Benjamin Franklin inventò il parafulmine e dimostrò che l’elettricità era presente anche nell’atmosfera. Il bolognese Luigi Galvani cerco di dimostrare l’esistenza di un fluido nel corpo umano atto a trasportare la corrente elettrica. Questi fu poi smentito da Alessandro Volta, l’inventore della pila e lo scopritore del metano.
  • Scoperte nel campo della chimica. Il chimico francese Lavoisier comprende il ruolo dell’ossigeno nella combustione, che il legame tra ossigeno e idrogeno produce l’acqua e la legge di conservazione della massa. A Lavoisier si attribuisce la nascita della chimica quantitativa.
  • Scoperte nel campo della biologia e delle scienze naturali. Appartengono a questo periodo lo svedese Carl Von Linné, che propose un sistema di classificazione delle specie viventi ancora in auge, come pure il francese Buffon, che propose un’idea non fissista delle specie viventi.

L’anticlericalismo e il deismo

Componente costitutiva dell’Età dei Lumi è poi l’anticlericalismo. Si rifiutava quindi qualsiasi conoscenze che non superasse l’esame della ragione o dell’esperienza. La cultura cristiana, così caratterizzata dal dogma e dalla rivelazione, fu pertanto osteggiata dalla gran parte degli illuministi, che rifiutarono in toto le Sacre Scritture. Molti di essi assunsero posizioni deistiche.

Deismo
Con il termine deismo si indica quella posizione filosofico-religiosa sorta durante l’Età dei Lumi secondo la quale si ammette un principio divino trascendente e creatore dell’Universo, senza accettare la dottrina della rivelazione e quella della provvidenza.

La religione degli illuministi, se vi era, era pertanto un tipo di religione naturale, essendo quelle positive rigettate.

Ottimismo, cosmopolitismo e tolleranza

L’ottimismo di Condorcet

Si è detto precedentemente che l’Illuminismo condanna il Medioevo, concependolo come un’età di oscurantismo, pervasa di fanatismo e superstizione. Forse l’autore che più di ogni altro ha sostenuto questa tesi è stato il francese Condorcet. Questi afferma, con ottimismo, che se l’uomo segue la ragione e mette da parte il fanatismo allora è possibile progredire via via verso epoche di splendore sempre maggiore:

Tutto ci induce a credere che stia per giungere l’epoca di una tra le maggiori rivoluzioni della specie umana. Che cosa ci può essere di più adatto a illuminarci su ciò che dobbiamo attenderci, a offrirci una guida sicura per orientarci e muoverci in essa, se non il quadro delle rivoluzioni che l’hanno preceduta e preparata?

Lo stato attuale dei lumi ci garantisce che sarà felice, ma a condizione che sappiamo servirci di tutte le nostre forze. E affinché la felicità […] si diffonda quanto più rapidamente possibile […] sarà […] necessario scoprire […] quali ostacoli ci restino da vincere e con quali mezzi potremo superarli.3

Cosmopolitismo e tolleranza

Il passato oscuro del Medioevo era reputato tale anche perché teatro di conflitti sorti per divisioni tra gli uomini. Queste divisioni avevano matrice religiosa e nazionale. Questo comportò che caratteristici dell’Illuminismo fossero il cosmopolitismo e la tolleranza.

Cosmopolitismo
Il termine cosmopolitismo deriva dal greco kosmos-polites e significa cittadino del mondo. Gli illuministi sostenevano il superamento delle differenze etniche, culturali religiose, considerando l’Umanità, e non un particolare Stato o cultura, come la propria patria.

Se dunque vi doveva essere un superamento delle divisioni, soprattutto religiose, allora era necessario promuovere la tolleranza. Il tema della tolleranza risale almeno all’epoca dell’Umanesimo. Prova ne è lo scritto Utopia di Thomas More. Un’altra opera famosa è l’Epistola sulla Tolleranza (1689) del filosofo empirista John Locke.

Il caso Calas e il Trattato sulla Tolleranza di Voltaire

Anche l’Illuminismo fa propria la battaglia per la tolleranza. Lo scritto più significativo di quest’epoca è certamente il Trattato sulla Tolleranza (1763) di François-Marie Arouet, detto Voltaire (1694-1778). Nel Trattato Voltaire si scaglia contro la violenza causata dal fanatismo religioso.

 L’affaire Calas

 Lo spunto per la scrittura del Trattato sulla Tolleranza4 su fornito a Voltaire dal caso Calas. Jean Calas era un modesto commerciante di Tolosa il cui figlio si era suicidato. Dato che al suicidio seguivano cerimonie funebri infamanti, la famiglia Calas, che era calvinista, non specificò le circostanze della morte.Tuttavia, dato che la famiglia era calvinista, nel vicinato si diffuse la diceria secondo cui il figlio sarebbe stato ucciso dal padre perché esibiva la volontà di convertirsi al cattolicesimo, fatto mai provato.

Jean Calas fu quindi inquisito e torturato, strangolato e infine bruciato. Solo con l’intervento di un altro figlio di Calas che si rivolse a Voltaire, il caso fu portato all’attenzione di Luigi XV. La memoria di Jean Calas e della sua famiglia fu quindi riabilitata.

Sempre nel Trattato, lo scrittore francese mostra come il concetto di tolleranza segua dal fatto che le differenze tra le credenze religiose degli uomini siano affare di poco conto.

Il nuovo ruolo dell’intellettuale e l’Encyclopédie

La missione dell’intellettuale e la borghesia

Gli intellettuali del Settecento, in qualità di illuministi, si sentono investiti di una missione fondamentale. Proprio perché reputano che sia l’uso, anche spregiudicato, della ragione a permettere la conoscenze e il domino sul mondo, essi reputano che sia loro dovere divulgare i risultati conoscitivi raggiunti dall’Uomo.

La differenza con la Rivoluzione Scientifica giace, in buona misura, proprio qui. L’atteggiamento antidogmatico era appartenuto anche a grandi scienziati e filosofi del passato, come Galilei, Cartesio, Bacon. Tuttavia l’Illuminismo è movimento capace di coinvolgere e influenza la borghesia. Questa classe sociale aveva conosciuto una crescita straordinaria durante il Settecento. Era la classe economicamente più dinamica e attiva. Non era raro che i borghesi leggessero libri, riviste, giornali. Proprio  questi ultimi andavano diffondendosi, permettendo così la circolazione di nuove idee e la loro discussione.

I luoghi della cultura

La discussione delle nuove idee illuministe avveniva fondamentalmente in due luoghi. Innanzitutto nei salotti culturali, dove grandi pensatori si raccoglievano per discutere. Il più noto tra questi è quello Madame Geoffrin a Parigi.

I salotti culturali sono uno dei simboli dell'Illuminismo. Nella figura il dipinto di Charles Gabriel Lemonnier rappresentante la lettura dell'opera di Voltaire L'Orfano della Cina, in uno dei salotti più famosi, quello di Madame Geoffrin in Rue Saint-Honoré a Parigi.
I salotti culturali sono uno dei simboli dell’Illuminismo. Nella figura il dipinto di Charles Gabriel Lemonnier rappresentante la lettura dell’opera di Voltaire L’Orfano della Cina, in uno dei salotti più famosi, quello di Madame Geoffrin in Rue Saint-Honoré a Parigi.

Oltre i salotti, gli altri luoghi di accesa discussione erano i caffè. Frequentati non da accademici, scrittori o filosofi, ma dalla borghesia. Se non vi fosse stata la cassa di risonanza della borghesia, l’età dei lumi non avrebbe potuto avere quell’importanza rivoluzionaria che ad oggi correttamente le attribuiamo.

L’Encyclopédie di Diderot e D’Alembert (1751-1777)

Il simbolo monumentale dell’impegno civile degli illuministi è certamente l’Encyclopédie di Diderot e D’Alembert. Chiamata anche Dizionario ragionato delle scienze, delle arti e dei mestieri, costituita da 17 volumi, era un progetto collaborativo che coinvolse circa 150 individui.

Il progetto enciclopedico incontrò da subito una tenace opposizione, in particolare presso gli ambienti cattolici. Il papa di allora, Clemente XIII, mise l’opera all’Indice dei libri proibiti.

La missione divulgativa dell’Encyclopédie non aveva, tuttavia, portata universale. I suo contenuti erano rivolti non al popolo, ma alla borghesia. Come scrisse Voltaire5:

Io intendo per popolo la plebaglia che non ha che le proprie braccia per vivere. Dubito che questa categoria di cittadini abbia il tempo o la capacità di istruirsi, morirebbero di fame prima di diventare filosofi […] non è la manovalanza che bisogna istruire, è il borghese medio, è l’abitante della città.

Montesquieu e Rousseau

L’Illuminismo è anche un’epoca di profonda riflessione politica, nella quale furono gettati importanti semi che avrebbero poi influenzato gli ordinamenti politici e giuridici nei decenni e nei secoli successivi. Nei due sottoparagrafi successivi forniamo un resoconto sintetico del pensiero di Montesquieu e di Rousseau.

Montesquieu e la divisione dei poteri

Un caposaldo del pensiero politico illuminista è certamente l’opera Lo Spirito delle Leggi (1748) di Charles de Secondat, barone di Montesquieu. In quest’opera Montesquieu introduce il principio di divisione dei poteri. Ogni stato infatti è caratterizzato da almeno tre forme di potere:

  • potere legislativo: il potere di fare le leggi;
  • quello esecutivo: il potere di governare secondo quelle leggi;
  • infine, quello giudiziario: il potere di far rispettare quelle leggi in occasione di controversie.

 

La necessità di questa divisione, che sarà poi codificata in tutte le costituzioni moderne e contemporanea a partire da quella americana, deriva da una concezione antropologica negativa. Scrive Montesquieu:

Ogni uomo che ha potere è portato ad abusarne finché non incontra dei limiti.

e ancora:

Tutto sarebbe perduto se lo stesso uomo, o lo stesso corpo di maggiorenti, o di nobili, o di popolo, esercitasse questi tre poteri: quello di fare le leggi, quello di eseguire le decisioni pubbliche, e quello di giudicare i delitti o le controversie dei privati.

Rousseau e la diseguaglianza

Diversamente da Condorcet, il filosofo politico Jean-Jacques Rosseau (1712-1778) ha una concezione negativa dell’epoca in cui si trova a vivere. La storia non era un processo migliorativo, ma degenerativo.

L’inizio di tale degenerazione, secondo Rousseau, è l’introduzione della proprietà privata. Come il filosofo sostiene nel Discorso sull’origine e i fondamenti della diseguaglianza tra uomini (1755), l’uomo naturale, il buon selvaggio, non conoscendo la distinzione tra “tuo” e “mio”, vive in una situazione di uguaglianza con i suoi pari. È pertanto la proprietà a creare diseguaglianza, a dividere gli uomini tra poveri e ricchi, tra padroni e servi.

La soluzione non può passare per il ritorno allo stato di natura. Piuttosto passa attraverso un contratto sociale sottoscritto da tutti gli individui al fine di sottomettersi ad una volontà generale, che è la volontà del popolo. L’ideale rousseauiano è, infatti, quello di uno Stato democratico e repubblicano, dove le decisioni vengono prese attraverso processi di democrazia diretta.

Video-lezione di sintesi

 

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