I principali sviluppi del marxismo nel Novecento

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In questo articolo trattiamo tre delle principali interpretazioni del marxismo: quelli di Lenin, quella di Lukács e quella di Gramsci.

Il marxismo di Lenin

Nella Seconda Internazionale (1889-1914/16) prese piede una interpretazione di Marx più legata agli aspetti rivoluzionari e politici che strettamente filosofici.  Il primo esponente di una interpretazione del pensiero di Marx più filosofica fu certamente Nikolaj Lenin.

Nello scritto Materialismo ed empiriocriticismo, Lenin formula la tesi del materialismo dialettico. Materialismo perché si oppone ad ogni forma di idealismo e spiritualismo, ma anche perché Lenin è un realista. In altri termini, per il pensatore, esiste una realtà oggettiva la cui esistenza è indipendente dalla percezione umana. Dialettico perché Lenin riconosce nella dialettica quella che chiama la logica oggettiva della storia, la lotta di classe, che porterà inevitabilmente alla nascita della società comunista, sintesi di quella lotta.

Il leninismo come filosofia di regime

Con la Rivoluzione russa del 1917, il marxismo leninista – che ora possiamo chiamare materialismo dialettico – divenne a tutti gli effetti la filosofia del regime dei Soviet. Così possono sintetizzarsi i capisaldi di tale pensiero:

  • La dialettica è la struttura del reale nella sua totalità e pertanto anche della storia. Essa, proprio per la sua universalità, è l’oggetto della filosofia. Le sue specificazioni sono oggetto delle scienze particolari.
  • Tale dialettica ha il carattere della inesorabilità, in quanto i risultati che essa porta sono necessari e prevedibili. Necessaria è è, del resto, la fine della società borghese, sostituita da quella comunista. Proprio questa prevedibilità costituisce la ragion d’essere del movimento rivoluzionario.

Il marxismo di Lukács

György Lukács, filosofo e politologo ungherese (1885-1871) rappresenta il marxismo occidentale. La sua opera più famosa è Storia e coscienza di classe (1923). Il pensiero di Lukács si concentra sull’aspetto storico-sociale della dialettica e sulla categoria di totalità. Anche secondo Lukács la storia non è un rapsodico susseguirsi di eventi, alla fine equivalenti, bensì una totalità articolate nelle formazioni storico-sociali.

La formazione storico sociale più cosciente di sé è il proletariato. Bisognerà pertanto guardare al mondo dal punto di vista del proletariato. Nell’opera sopracitata, Lukács afferma che il motore della storia è proprio al coscienza di classe

La borghesia, dal canto suo, non può averla, o al massimo averne una falsa. Se, infatti, la borghesia avesse una coscienza di classe, ne seguirebbe che, cosciente della contraddizione di cui è portatrice, dovrebbe autodistruggersi. Pertanto ne sviluppa una falsa, fingendo di non vedere la contraddizione. Inoltre, proprio perché la borghesia non ha una coscienza di classe né potrebbe averla, pena l’autodistruzione, essa non può essere il motore del farsi storico.

Il marxismo di Gramsci

Il marxismo si fa strada in Italia solo verso la fine dell’Ottocento. Tuttavia, in quegli anni, l’Italia, da poco unificatasi, era governata da forze liberali poco avvezze a concessioni verso le istanze operaie. Del resto, il proletariato italiano, era ridotto al centro-nord dello stivale. Altre dottrine filosofiche si facevano spazio nell’Italia a cavallo tra Ottocento e Novecento, come certamente il positivismo e il neoidealismo. Il comunismo marxista fu comunque introdotto in Italia dal filosofo e docente universitario Antonio Labriola (1843-1904). La diffusione del marxismo nei movimenti sindacali ed operai si deve invece in gran parte ad Antonio Gramsci (1891-1937), tra i fondatori del Partito Comunista d’Italia (Livorno, 1921).

Biografia e opere

Antonio Gramsci nacque ad Ales, in provincia di Cagliari, nel 1891. Si iscrisse all’Università di Torino, ma non terminò gli studi. Arrestato nel 1924 dalla polizia fascista.

Il pensiero di Antonio Gramsci

Nel pensiero di Gramsci, che è una delle interpretazioni più approfondite e originali del pensiero di Marx, sono due le nozioni principali, quella di filosofia della praxis e quella di egemonia culturale.

Diversamente dal materialismo storico di Lenin, per Gramsci non esiste alcuna rigidità causale del divenire storico. Allo stesso modo, diversamente da Marx, il filosofo italiano non crede che il crollo del saggio di profitto porterà alla caduta della società borghese. Deve essere l’azione umana, la prassi,  a trasformare la realtà in modo rivoluzionario.

Alla considerazione gramsciana dell’azione rivoluzionaria si lega il concetto di egemonia culturale. Secondo Gramsci, il dominio di una classe su un’altra non avviene soltanto attraverso l’esercizio della forza coercitiva, ma assume anche una dimensione culturale. Con il termine egemonia culturale, il pensatore indica tutte quelle istituzioni e strumenti, come la religione, la scuola, i giornali, i partiti politici, le unioni sindacali, le personalità importanti, il cinema, che concorrono a modificare il pensiero delle masse.

Ovviamente, la società borghese è anche quelle egemone culturalmente. Ne segue che, secondo Gramsci, il compito del comunismo proletario e rivoluzionario è proprio quello di condurre una guerra culturale, una “battaglia delle idee”, che viene concepita non tanto come uno scontro campale, ma come una lenta guerra di logoramento.

 

 

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