L’Unione Sovietica di Stalin – 1922-1939

Stalin cover

In questo articolo analizziamo la dittatura di Stalin, arrivato ai vertici dell’Unione Sovietica dopo la morte di Lenin nel 1924.

Ascesa di Stalin – 1918-1924

Intorno agli anni Venti emerse nei quadri dirigenziali del bolscevismo la figura di Josip Stalin (1979-1953). Stalin, georgiano di Gori, vicino Tbilisi, era di origini proletarie – il padre era un ciabattino – che inizialmente ha un’educazione religiosa, l’unica possibile nel suo luogo di nascita.

Dopo essersi iscritto in seminario venne espulso. Leggeva le opere di Marx e Lenin. Iscrittosi al Partito socialdemocratico russo, nel 1903, passa dalla parte dei bolscevichi. Dedica tutti i primi anni del Novecento, sino al 1917, anno della rivoluzione, a organizzare sollevazioni e cospirazioni, per le quali verrà più volte arrestato ed esiliato. Stalin organizzerà anche una rapina per procurare fondi al partito bolscevico.

Attira così l’attenzione di Lenin e diventa, una volta che i bolscevichi hanno preso il potere, Commissario per le Minoranze Nazionali, un ruolo dirigenziale di secondo piano.

Le cose cambiano nel 1922, quando viene nominato Segretario Generale del Partito. Con un accresciuto potere ed autorità, il futuro di dittatore si distingue per le straordinarie capacità organizzative, per la ferrea volontà e per crudeltà, guadagnandosi l’appellativo di uomo d’acciaio.

Dalla morte di Lenin all’esilio di Troskij

Nel frattempo le condizioni di salute di Lenin peggiorano. Già colpito da un ictus nel 1922, nel gennaio del 1924 il capo supremo del bolscevismo muore, non prima di aver lasciato, nel suo testamento, una nota ai dirigenti del Partito. Lo stesso Lenin si era profondamente pentito di aver nominato segretario del partito il futuro dittatore, giudicandolo brutale e grossolano.

Alla morte di Lenin, il 21 gennaio, si apre un conflitto per la successione. Le parti coinvolte hanno una visione profondamente diversa dello sviluppo della rivoluzione.

  • Da un lato vi è Troskij, maggior contendente di Stalin, sostenitore della rivoluzione permanente, e del profondo legame tra le sorti della rivoluzione russa e l’Europa. Così egli riassumeva la questione:

Senza il diretto appoggio del proletariato europeo, la classe operaia russa sarà incapace di restare al potere e di trasformare il suo dominio temporaneo in dittatura socialista. Nessun dubbio è consentito su questo punto. D’altro canto è fuori di dubbio che una rivoluzione socialista in Occidente ci permetterebbe di trasformare direttamente la momentanea supremazia della classe operaia in dittatura socialista.

  • A questa visione è opposta la dottrina del socialismo in un solo Paese, sostenuta da Stalin. Non dobbiamo dimenticare come la rivoluzione bolscevica avesse intimorito la potenze occidentali. Il pericolo di una diffusione del comunismo aveva fatto sì che la Russia fosse isolata diplomaticamente. In questo contesto la via del socialismo in un solo Paese apparve ai dirigenti del partico, Zinov’ev (1883-1936) e Kamenev (1883-1936) una via più percorribile. Troskij fu quindi isolato politicamente ed esiliato. Morirà per mano di un sicario stalinista in Messico, nel 1940.

 

Da destra verso sinistra: Stalin Lenin e Troskij
Da destra verso sinistra: Stalin Lenin e Troskij

L’economia pianificata

Dopo l’espulsione di Troskij, Stalin proseguì nell’opera di consolidamento del suo potere. Una delle questioni sui tavoli di discussione dei dirigenti del partito era la NEP. I già citati Zinov’ev e Kamenev propendevano per bloccarla. Stalin, appoggiato dal Nicholay Bucharin (1888-1936), sosteneva invece la prosecuzione della NEP. Tale linea prevalse e nel 1927 e Zinov’ev e Kamenev furono espulsi dal partito.

Finalmente libero di esercitare tutto il potere senza opposizioni, Stalin iniziò l’immensa opera di rafforzamento economico – soprattutto industriale – dell’URSS. Era infatti convinto che, nel nuovo panorama internazionale, l’URSS, se non adeguatamente rinforzata economicamente, industrialmente e militarmente, sarebbe stata schiacciata dalle potenze occidentali.

L’impeto industriale si sarebbe appoggiato sull’agricoltura. La strategia fu quella di rivendere il surplus agricolo per finanziare il progresso industriale.

La collettivizzazione dell’agricoltura: i kolchoz, i sovchoz e la persecuzione dei kulaki

Un primo passo fu la collettivizzazione dell’agricoltura. Se almeno inizialmente Stalin volle conservare la NEP, già nel 1928 alla NEP si sostituiva una nuova politica economica , che prevedeva la collettivizzazione delle terre. Nascevano così:

  • i kolchoz, aziende agricole di medie dimensioni, che ogni anno dovevano allo Stato una predefinita quantità di beni, bestiame ecc.;
  • i sovchoz, grandi aziende agricole di dirette proprietà e conduzione statale nelle quali i contadini erano assunti come salariati.

Kolchoz e sovchoz rispondevano quindi all’esigenza di un capillare controllo statale sull’agricoltura. Sparirono ben 25 milioni di piccoli poderi, sostituiti così da 250000 aziende statali. Tale accorpamento forzato danneggiò i piccoli, spesso molto modesti, proprietari terrieri, i kulaki, che, durante il regime stalinista, furono oggetto di una vera e propria persecuzione. I kulaki si ribellarono apertamente alle requisizioni, preferendo distruggere i raccolti e uccidere il bestiame piuttosto che consegnarlo. La risposta dello Stato fu pesantissima e consistette nella deportazione di 2 milioni di kulaki nei gulag.

La politica di collettivizzazione, con se sue requisizioni e le conseguenti carestie, portò allo stremo la popolazione agricola. Di denutrizione morirono ben 5 milioni di individui. La carenza alimentare era tale che nella Russia stalinista ricomparve il cannibalismo, seppur punito con la fucilazione immediata o con la deportazione.

Milioni di giovani, milioni di kilowatt: i piani quinquennali e la crescita industriale

Se il settore agricolo fu letteralmente sacrificato, i benefici di questo sacrificio si riverberarono sulla crescita industriale. Organizzata secondo piani quinquennali, il primo dal 1928 al 1932, il secondo dal 1933 al 1937, tale crescita comportò per l’URSS uno sforzo immane, che azzerò la disoccupazione già nel 1932 e nel 1941 diventò la seconda superpotenza industriale dopo gli Stati Uniti.

 

Video-lezione – Parte 1

Lo stachanovismo e la condizione operaia

L’immane sforzo industriale degli anni Trenta fu reso possibile anche da un sistema ideologico finalizzato a favorire prestazioni lavorative estreme. Il lavoro nei settori industriali e nell’indotto si contraddistingueva per la sua pesantezza, per le condizioni militaresche, per i grandi sacrifici che gli operai sostenevano. Se da un lato era del tutto assente l’attività sindacale, dall’altro il regime favoriva i lavoratori più produttivi con incentivi di carattere materiale e non. Nasceva così il titolo di “eroe del lavoro”, le cui assegnazioni erano addirittura annunciate attraverso i mass media. La “valorizzazione” dei lavoratori più performanti fece buon gioco al regime, poiché portò gli stessi lavoratori a competere gli uni con gli altri per lavorare di più, produrre di più.

Emblematico, a tal punto da entrare a far parte del vocabolario corrente, è la figura del minatore Aleksey Stachanov, che estrasse una quantità immensa di carbone durante un turno di lavoro notturno. Molti lavoratori sovietici, visto il clima e l’ideologia dominante, divennero emuli di Stachanov.

La retorica del lavoro e il programma di industrializzazione non aveva soltanto sacrificato il settore primario, ma anche l’industria volta a produrre i beni di uso e consumo comuni. Gli operai che costruivano macchinari armi, metalli lavorati, mezzi di lavoro, ma non conducevano uno stile di vita che oggi giudicheremmo accettabile, poiché i salari erano così bassi da sfiorare a malapena la sussistenza. Comprare un nuovo paio di scarpe da lavoro poteva essere molto difficoltoso, abitare in una casa con più di una stanza un lusso per pochissimi.

La cultura sotto Stalin

Stalin diede origine ad un regime che seppe costruire una cultura funzionale al regime. Una delle strade che intraprese fu certamente quella di inquadrare i giovani, grazie ad un sistema scolastico che abituava i giovani russi all’abnegazione ed al rispetto, alla disciplina e al conformismo. Grande importanza ebbe certamente l’istruzione tecnica – a scapito di quella umanistica. Il regime aveva bisogno di lavoratori più che di liberi pensatori. I giovani erano inoltre indottrinati sin dal 1918, da un’istituzione chiamata Komsomol, l’Unione comunista della gioventù.

All’inquadramento dei giovani, caratteristica comune alle tre principali dittature della prima metà del Novecento, fu accompagnato anche un rigido controllo dell’espressione culturale ed artistica. L’unico stile accettato fu quello del realismo socialista, così chiamato perché i soggetti rappresentati da questi dipinti erano di immediata comprensione, chiari, didascalici, celebrativi del regime e della persona di Stalin.

Stalin con i bambini
Vasyl Prokofeyevich Yefanov ” Stalin e Molotov con i bambini”. Un’immagine di propaganda realista socialista del 1947.

Diversi, in questo senso, furono quegli intellettuali russi che, lontani dal conformismo realista, furono vittime dell’appiattimento culturale, nemico di ogni avanguardia. Due casi molto noti furono quelli di Pasternak e Majakosvkij che pure erano sostenitori del bolscevismo:

  • Boris Pasternak (1890-1960), autore del famoso Il dottor Zivago (1957), non potette ritirare il premio Nobel per le critiche che aveva avanzato al regime.
  • Vladimir Majakosvkij, si uccise nel 1930, entrato tra coloro i quali erano sospettati di essersi allontananti dal partito.

 

Le purghe e i Gulag

Alla creazione di un’ideologia estremizzata del lavoro e al controllo della cultura, bisogna aggiungere anche la durissima repressione del dissenso. Nell’Unione Sovietica stalinista questa repressione prende la forma delle purghe.

Purghe
Il termine ha la stessa radice di puro (dal latino purus), e sta ad indicare un atto di purificazione. Il termine è utilizzato per indicare le modalità di repressione del dissenso politico nel regime stalinista.

Le purghe iniziarono quando fu ucciso Kirov, un dirigente del partito bolscevico. Esse furono in realtà lo strumento attraverso il quale Stalin si liberava degli oppositori politici. La polizia politica aveva assunto il nome di Commissariato per il popolo e per gli affari interni (NKVD) agiva in modo spesso arbitrario. Si tenevano processi pubblici per i sospettati che spesso confessavano atti mai commessi, sotto tortura o minaccia. Questo fu anche il destino di Zinov’ev,  Kamenev, Bucharin.

Un altro terribile strumento furono i Gulag, dove il regime deportava i dissidenti e gli indesiderati.

Gulag
Il termine è un acronimo di Glavnoe Upravlenie ispravitelno-trudovych lag erej, ovvero “Direzione centrale dei campi di lavoro correttivi”.

I Gulag erano dei veri e propri campi di concentramento, molti dei quali si trovavano nella glaciale steppa siberiana. I questi campi i prigionieri conducevano una vita di stenti e di lavori forzati.

La Russia stalinista del grande terrore era pertanto caratterizzata da una cultura del sospetto. Ognuno poteva denunciare al regime il suo prossimo, anche per motivi banali o semplice antipatia. I gusti personali, i libri che si leggevano, i vestiti che si indossavano: tutto poteva essere causa di una possibile denuncia. Un ulteriore incentivo a denunciare i sospetti era la punizione riservata anche a coloro i quali mancavano di denunciare.

Puoi trovare una mappa interattiva e completa dei Gulag qui.

 FOCUS – Arcipelago Gulag

Il premio Nobel Alexandr Solženicyn (1918-2008) raccontò, da protagonista, l’esperienza dei Gulag.  Nonostante avesse combattuto nell’Armata Rossa nella Seconda Guerra Mondiale, nel 1945 fu deportato in un Gulag avendo criticato il regime  in una lettera privata.  Da questa terribile esperienza nacquero due opere:

  • Una giornata di Ivan Denisovic (1953), un romanzo.
  • Arcipelago Gulag (1958), un saggio che riuscì a uscire dai confini sovietici perché fotografato in un microfilm. Quest’opera ha un valore storico fondamentale, perché essa rese noti all’Occidente le condizioni di vita nei Gulag. Inoltre rende un quadro molto chiaro del clima di terrore sopracitato. L’opera è inoltre impreziosita da testimonianze che lo stesso autore raccolse. Esse fanno comprendere come i processi pubblici non fossero che delle mere farse e i meccanismi dalla delazione alla condanna ai lavori forzati nei campi.

Videolezione – Parte 2

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