Gli anni della Sinistra Storica – 1876-1896

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In questo articolo trattiamo gli anni che vanno dal 1876 alla crisi di fine secolo, anni dominati in Italia dal governo della Sinistra storica.

L’epoca Depretis – 1876-1887

La pesante tassazione imposta dalla Destra storica aveva spianato la strada ad un cambio di governo. Questo avvenne nel 1876, quando il re affidò ad Agostino Depretis (1813-1887) l’incarico di formare un nuovo governo. Depretis, da giovane entusiasta mazziniano moderatosi con gli anni, di idee democratiche e liberali, presentò i punti del suo programma di governo:

  • combattere l’analfabetismo;
  • allargare il suffragio elettorale;
  • sviluppare l’economia;
  • l’abolizione della odiatissima tassa sul macinato;
  • invertire il processo di accentramento avviato dalla Destra storica, favorendo invece il decentramento.

La legge Coppino – 1877

Depretis incominciò la sua attività riformatrice dal settore dell’istruzione. Risale al 1877 la nota legge Coppino. La legge andava a riprendere e rafforzare la legge Casati1, estendendo l’obbligo scolastico al terzo anno di scuola elementare e introducendo sanzioni per i genitori che si rifiutavano di mandare i figli a scuola. Molti asili e molte scuole furono costruite, come pure molte scuole serali, per l’alfabetizzazione degli adulti. Questa riforma presentava certamente dei limiti: l’istituzione delle scuole era lasciata ai comuni, con la conseguenza che quelli più poveri incontravano enormi difficoltà a pagare gli insegnanti. Al di là di queste difficoltà, i risultati furono apprezzabili. Solo nel 1911 l’istruzione diventerà un “affare di Stato”, il suo sistema cioè sarà centralizzato.

L’allargamento del suffragio – 1882

La riforma dell’istruzione, seppur con tutti i suoi limiti, era però la base per un’altra riforma, ovvero quella elettorale. Vi era infatti la convinzione che una migliore istruzione fosse la base per poi allargare il suffragio e ammodernare così l’Italia. Nel 1882 si approva così la nuova legge per le elezioni politiche. I requisiti per votare diventano meno restrittivi:

  • età minima per votare: 21 anni e non più 25;
  • reddito richiesto per votare: 19 lire e non più 40;
  • bisogna saper leggere e scrivere o, almeno, aver concluso le elementari.

 

Il risultato di questa nuova legge elettorale fu l’innalzamento della percentuale della popolazione votante dal 2% all’8%. Il 1882 fu anno di elezioni. La Sinistra storica vinse le elezioni, ma la Destra raggiunse un buon risultato. Da anche l’elezione del primo deputato socialista, Andrea Costa (1851-1910), che aveva fondato nell’anno precedente il Partito socialista rivoluzionario di Romagna.

La politica parlamentare: la trasformazione dei partiti

La legge del 1882 aveva in effetti allargato il corpo votante. Tuttavia, questo parziale processo di democratizzazione doveva essere controllato. Tutti i parlamentare italiani temevano infatti che aprire eccessivamente le maglie della politica, avrebbe dato spazio a quelle forze antisistemiche che come i repubblicani non si riconoscevano nella monarchia, come i socialisti non si riconoscevano nell’approccio liberista.

Proprio per evitare una possibile ascesa politica di repubblicani e socialisti, nell’Italia degli Settanta dell’Ottocento, si viene a creare un grande Centro di stampo liberale. Questo grande centro, che raccoglie sia esponenti della Destra Storica, sia esponenti della Sinistra storica, non è che un enorme macigno parlamentare che non lascia che uno spazio minimo ai partiti di opposizione. Il più significativo tra questi è il partito dei Radicali di Felice Cavallotti (1842-1898), di ispirazione liberal-democratica.

Come nasce questo enorme Centro maggioritario? Nasce in virtù della sostanziale somiglianza ideologica ed estrazione sociale degli esponenti della Destra e della Sinistra storica, che sono liberali. In questi anni Depretis lancia lo slogan della “trasformazione dei partiti“, ovvero la creazione di una maggioranza liquida, in cui, tramite accordi, politici di destra e sinistra si riversano, costituendola.

Il trasformismo

L’opposizione, certamente danneggiata da queste pratica, critica questa tendenza dei parlamentari liberali a trovare di volta in volta degli accordi per salvaguardare la maggioranza moderata. L’accusa è, ovviamente, quella di trasformismo, che definiamo di seguito.

Trasformismo
Per trasformismo si intende la tendenza a stringere accordi con la parte politica avversaria al fine di conservare o rafforzare il proprio potere politico e/o economico. Il termine ha certamente un’accezione negativa, poiché è indicativo di repentini cambi di opinione cinicamente basati sull’opportunismo e sul tornaconto personale. Il trasformismo è alla base della mancata nascita del bipolarismo, come pure l’occasione per pratiche clientelari e di manipolazione del consenso. Il trasformismo si collega pertanto ad un decadimento della vita morale e istituzionale dei politici.

 

Una illustrazione satirica di Depretis raffigurato come un camaleonte, chiaro riferimento al trasformismo
Una illustrazione satirica di Depretis raffigurato come un camaleonte, chiaro riferimento al trasformismo

La politica economica

Per quanto riguarda la politica economica, la Sinistra storica agì all’insegna del protezionismo. Tale politica economica protezionistica ebbe un primo slancio già nel 1878, quando vengono introdotti le prime tariffe a tutela delle industrie tessili. Questo indirizzo fu favorito dal fatto che l’Italia già risentiva della Grande Depressione, la crisi economica che colpì l’Europa (1873-1895). Questa politica tuttavia non giovò: soprattutto con la Francia, importante mercato per l’Italia, si aprì una vera e propria guerra doganale. La Francia aumentò le tasse sulla merce d’importazione e, conseguentemente, le esportazioni italiane calarono del 40%, come pure conseguente fu la massiccia emigrazione verso gli Stati Uniti, stimata intorno ai 2 milioni di italiani.

Vengono ad esser tutelati sopratutto il settore dell’industria pesante, della siderurgia e  metallurgia, con finalità oltre che  economiche anche strategiche. Si mira cioè alla produzione domestica di mezzi terrestri e navi militari, piuttosto che al loro acquisto da aziende straniere. Simbolo di questo impegno verso i settori dell’industria pesante è la nascita dell’acciaieria di Terni, nel 1884, stesso anno dell’abolizione della odiata tassa sul macinato. Sempre in questi anni nascono gruppi industriali di primissimo piano, come l’industria estrattiva Montecatini, quella della gomma Pirelli, la Edison per la produzione di elettricità. Al contempo, si intensificano e si mescolano gli interessi degli esponenti del mondo politico, di quello bancario e della grande industria, e tale mescolanza sfocerà non di rado in episodi di corruzione.

Nel 1887, ultimo anno di vita di Depretis, il governo introduce ulteriori forme di protezione verso i prodotti agricoli, si alzano ancora di più i dazi doganali sui prodotti siderurgici e meccanici importati mentre, mentre li si abbassano sulle materie prime.

La politica estera: la Triplice Alleanza e il Corno d’Africa

Per quanto riguarda la politica estera, due sono gli avvenimenti importanti che segnano l’epoca di Depretis. Il primo è certamente la stipula, nel maggio 1882, della Triplice Alleanza con Germania e Austria, un patto di natura difensiva: solo se uno dei contraenti fosse stato attaccato, gli altri avrebbero dovuto supportarlo e intervenire in sua difesa; nel caso in cui il contraente fosse l’attaccante nessun obbligo poteva essere imposto.

Il secondo invece riguarda un timido tentativo italiano di dare inizio ad un’espansione coloniale. L’oggetto dell’interesse fu il Corno d’Africa, ma la questione si risolse in breve e senza alcuni risultato apprezzabile. Il governo infatti acquistò dalla compagnia di navigazione Rubattino2 la baia di Massaua, in Eritrea, regione dell’Impero etiope. L’esercito etiope sconfisse duramente quello Italiano a Dogali, il 26 gennaio 1887. Le ambizioni coloniali italiane erano state, almeno per il momento, mortificate.

Video-lezione di sintesi 1

L’epoca Crispi (1887-1896)

Politica interna: Accentramento e autoritarismo

Quando morì De Pretis, nel 1887, il re affidò a Francesco Crispi, ex mazziniano convertitosi alla monarchia, l’incarico di formare un nuovo governo. Possiamo subito anticipare i caratteri del governo Crispi: certamente nazionalista, antisocialista e anticlericale, favorevole agli interessi dei grandi industriali e imprenditori agricoli, come pure dell’esercito. Non a caso riprenderà la politica coloniale bloccatasi con la sconfitta di Dogali.

Ad ogni modo, nel quinquennio che va da 1887 al 1892, il governo Crispi vara una importante riforma istituzionale in senso centralista: le prefetture e le amministrazioni locali sono ora subordinate al governo. Aumenta anche il potere di controllo delle forze armate. Per bilanciare, almeno parzialmente questa autoritaristica centralizzazione, si stabilisce che i sindaci dovevano essere eletti nei Comuni con più di 10000 abitanti.

Durante il secondo governo Crispi (Crispi II), nel giugno del 1889, viene promulgato il nuovo codice penale, firmato dall’allora guardasigilli3 Giuseppe Zanardelli. Tra le innovazioni principali del Codice Zanardelli vi era un parziale riconoscimento del diritto allo sciopero e, soprattutto, l’abolizione della pena capitale.

Sotto Crispi, i già logori rapporti tra Regno d’Italia e Vaticano si guastano completamente. Crispi infatti intendeva dare seguito a quel processo di laicizzazione dello Stato, sopratutto per delegittimare l’opposizione cattolica conservatrice. Simbolico, a tal proposito,  è il gesto di far collocare la statua di Giordano Bruno a Campo de’ Fiori a Roma.

Politica coloniale di Crispi – Prima parte

Crispi riprese la politica coloniale che si era arenata dopo la sonora sconfitta di Dogali. Il 2 maggio del 1889 il negus4 Menelik II firmò il trattato di Uccialli, in base al quale l’imperatore riconosceva alcun zone dell’Eritrea come come possedimenti italiani. La stessa Eritrea nel 1890 divenne colonia italiana.

Menelik II, negus d'Etiopia
Menelik II, negus d’Etiopia

La cosa interessante da notare è che il trattato di Uccialli fu equivoco. Era scritto in italiano e in amarico, ma un suo articolo, in particolare il 17, fu tradotto diversamente in italiano e in amarico. In italiano:

Sua Maestà il Re dei Re d’Etiopia consente di servirsi del Governo di Sua Maestà il Re d’Italia per tutte le trattazioni di affari che avesse con altre potenze o governi.

In amarico:

Sua Maestà il Re dei Re d’Etiopia può trattare tutti gli affari che desidera con altre potenze o governi mediante l’aiuto del Governo di Sua Maestà il Re d’Italia.

La versione italiana – che fa dell’Etiopia praticamente un protettorato – fu poi resa pubblica a tutte le potenze europee da Crispi e questo suscitò l’ira del sovrano Etiope, che si sentì raggirato. Era il primo passo verso un’escalation che avrebbe portato alla Guerra di Abissinia (1895-1896).

La situazone geopolitica
La situazione geopolitica

l breve governo Giolitti

Nel 1891, Crispi è costretto a dimettersi perché ha perso la maggioranza in Parlamento. Segue un breve governo Rudinì, ma nel maggio 1892 sale al governo Giovanni Giolitti (1892-1893). Il governo Giolitti fu caratterizzato da una volontà di ricercare il compromesso e l’equilibrio tra le parti sociali e da una certa apertura verso le classi sociali più disagiate, tanto è che Giolitti promosse una sistema di imposte progressive sul reddito. Non di meno il governo Giolitti fu attraversato a più livelli dalla questione sociale, specialmente in Meridione.

Sempre durante questo periodo nasce a Genova il Partito dei lavoratori italiani (agosto 1892), fondato da Filippo Turati, da  Anna Kuliscioff, compagna di Turati, e  dal filosofo Antonio Labriola, che diverrà poi il Partito Socialista Italiano.  L’ideologia di questo partito era di ispirazione marxiana-riformista ed anti-anarchica, nel senso che il proletariato avrebbe dovuto raggiungere la collettivizzazione dei mezzi di produzione gradualmente, tramite le riforme.

I Fasci siciliani

L’altro grande fronte della questione sociale fu quello aperto, tra il 1891 e il 1893 dai Fasci5 dei lavoratori in Sicilia. I Fasci siciliani erano delle associazioni di lavoratori in settori eterogenei: artigiani, contadini, braccianti, minatori, particolarmente sfiancata dai privilegi e dall’iniqua tassazione concessa ai grandi latifondisti (detti anche galantuomini). Il movimento era ben radicato in Sicilia, venendo a contare circa 300 fasci e 200000 iscritti in tutta l’isola. I Fasci erano nati inizialmente per sopperire all’assenza dello Stato, impegnandosi nell’assistenza e nell’educazione pubblica. Ben presto però queste associazioni espressero la loro protesta in maniera violenta. I Fasci siciliani furono in questo senso, una seconda manifestazione, dopo il brigantaggio del 1861-1865, del disagio meridionale davanti ad uno Stato assente e sordo.

Giolitti non impiegò mezzi di repressione straordinaria nei confronti dei Fasci siciliani, come poi farà Crispi.

Lo scandalo della Banca Romana

Come si è già affermato, il trasformismo politico oltre che alla formazione di una maggioranza, ebbe come conseguenza anche la diffusione del clientelismo e della corruzione. Non è quindi un caso che in due riprese, sia nel 1889 che nel 1893, un inchiesta sollevò lo scandalo della Banca Romana. La Banca Romana era un istituto di credito privato autorizzato dallo Stato a stampar carta moneta. L’istituto però stampò sia doppioni di banconote già in circolo, sia altre che però non erano coperte dalle riserve di metalli preziosi. Ovviamente il fine di questa operazione era quella di favorire  i politici più in vista, tra cui lo stesso Crispi e Giolitti, per ottenere copertura politica. Questa inchiesta si risolse però in un nulla di fatto.

Video-lezione di sintesi 2

Ritorno e caduta di Crispi – 1894-1896

Il repressivo ordine interno

Caduto il governo Giolitti, Francesco Crispi ritorna a ricoprire la funzione di Primo Ministro. Il primo problema di cui si occupa è certamente la repressione del movimento dei Fasci del lavoratori in Sicilia. Nel gennaio del 1894 Crispi dichiara per Sicilia lo stadio d’assedio, una eccezionale provvedimento giuridico che viene preso per risolvere importanti questioni di ordine interno. Non solo la Sicilia, ma anche la Lunigiana, tra Toscana e Liguria, dove rilevante era il fermento anarchico.

In virtù dello stadio d’assedio, tutte le autorità civili lasciano il comando a quelle militari. L’esito della repressione si misura in circa due migliaia di arresti e la comminazione, da parte dei tribunali militari, di pene di detenzione abbastanza severe.

Una seconda fase delle repressione di Crispi avviene nel luglio del 1894. In questo mese il Primo Ministro propone le cosiddette tre leggi antianarchiche, che erano:

  • la legge 314, che riguardava i reati legati all’uso di esplosivi;
  • la 315, che riguardava i reati a mezzo stampa, in particolare l’apologia e l’incitamento;
  • infine, la legge più pesante, la 316, in base alla quale al governo era data facoltà di sciogliere qualsiasi associazione reputata sovversiva.

 

Proprio grazie quest’ultima legge Crispi potette sciogliere  il Partito Socialista del Lavoratori italiano, che si era costituito appena due anni prima. In realtà, sebbene il partito fosse ufficialmente sciolto, esso continuava a vivere clandestinamente, in particolare nelle zone d’Italia più industrializzate come la Val Padana. Era proprio in quelle zone che si stava sviluppando sempre più una coscienza operaia, una coscienza di classe.

Politica coloniale di Crispi – Parte 2

Come abbiamo affermato, il rapporti tra Italia ed Etiopia si erano andati rovinando sempre più, sopratutto a causa della diversa interpretazione dell’articolo 17 del trattato di Uccialli. Tale incomprensione si manifestò quando Menelik, invitando i sovrani di Inghilterra e Russia alla sua incoronazione, ricevette da questi un diniego: in base a quanto annunciato dall’Italia, l’Etiopia era ora un protettorato italiano, e qualsiasi rapporto diplomatico, compreso l’invito ad una cerimonia, doveva passare dalla mediazione italiana.

Inizia quindi un’escalation, nella quale Menelik II inizia a comprare armi dalla Russia, dalla Francia, ma anche dalla stessa Italia. L’ambasciatore italiano ad Addis Abeba, Pietro Antonelli,  tenta invano di cercare un accordo con il sovrano etiope. La Guerra di Abissinia6

La guerra non prosegue in maniera brillante per l’esercito italiano, a corto di uomini e di armi, mal organizzato. La sconfitta definitiva si ha ad Adua, il 1° marzo 1896, nella quale i 180000 tra soldati dell’esercito regio e àscari[footnote]Gli àscari erano un corpo di soldati eritrei che combatteva affianco dell’esercito italiano., guidati dal generale Oreste Baratieri, vengono travolti da 1000000 guerrieri etiopi. L’Italia esce sconfitta dalla guerra.

Questa disfatta ha un peso politico tremendo: Crispi, che pure aveva dato l’ordine di attaccare Adua, è costretto a dimettersi (9 marzo 1896), e con la fine di questa esperienza di governò finirà anche la sua carriera politica. La guerra si conclude formalmente con il trattato di Addis Abeba del 26 ottobre 1896. Con esso l’Italia, che pur conservava Somalia ed Eritrea, rinunciava a qualsiasi intromissione nella vita politica dell’Impero etiope.

Video-lezione di sintesi 3

 

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