Gli anni della Destra storica (1861-1876)

Destra storica cover

In questo articolo trattiamo gli anni tra il 1861 e il 1876 nell’Italia post-unitaria, periodo segnato dal governo della Destra storica.

L’Italia post-unitaria

Analfabetismo e pluralità linguistica

Nel 1861 si raggiunge l’unità d’Italia. È necessario però soffermarci su cosa intendiamo quando parliamo di Italia nel 1861. In primo luogo, sicuramente mancano delle regioni e dei territori importanti: il Lazio, Roma (la capitale nel 1861 è Torino), il Trentino, la Venezia-Giulia.  Al di là della situazione geopolitica, rimane la questione sociale ed economica. Partiamo da alcuni dati riguardanti l’alfabetizzazione. Solo il 20-25% (cifra media) dei neo-italiani è alfabetizzato, con valori di minimo e massimo che oscillano tra il 3% (in Sardegna) al 46% (Piemonte e Lombardia). La mappa seguente illustra tale situazione.

Gli italiani, oltre che analfabeti per la grande maggioranza, non parlano neppure l’italiano. Ogni individuo parla il dialetto della propria regione. La conseguenza è che l’italiano medio, spostandosi in altre regioni, è incapace di comunicare con quelli che dovrebbero essere i suoi connazionali.

Un Paese agricolo e le sue macroaree

Se consideriamo l’economia dell’Italia appena unita, non possiamo che affermare che essa sia una Paese eminentemente agricolo e certamente arretrato rispetto alla Gran Bretagna, in cui solo il 20% dei lavoratori era impiegato nel settore primario. Per l’Italia del 1861 la situazione è rappresentata dal grafico seguente:

Sebbene la maggior parte dei lavoratori fosse impiegata nel settore agricolo, tuttavia ciò non equivale ad affermare che non vi fosse differenziazione tra diverse zone d’Italia. Ci viene in aiuto un rapporto stilato tra il 1877 e il 1884 da Stefano Jacini1, denominato Inchiesta agraria e sulle condizioni delle classi agricole. In base a tale rapporto possiamo individuare tre macro-aree:

  • In Italia Settentrionale, ed in particolare la Valle Padana, era caratterizzata da una agricoltura di tipo capitalistico, in cui la produzione è resa efficiente da mezzi moderni di irrigazione e rotazione pluriennale, come pure dall’utilizzo dei primi fertilizzanti. Erano presenti anche impianti manifatturieri industriali, sopratutto nel campo tessile. Gli imprenditori più abili erano riusciti a procurarsi anche le macchine a vapore, l’innovazione principale della Prima Rivoluzione industriale.
  • Il Centro-Italia è incentrato sul rapporto di mezzadria e non vi è praticamente nessuna tecnologia produttiva avanzata.
  • Il Sud-Italia è basato sul latifondo. La coltura principale è il grano. Nella striscia tra Bari e Lecce è diffusa invece la coltura degli ulivi, non tanto per ricavarne l’olio per l’alimentazione, quanto per l’impiego di esso nelle industrie tessili inglesi. In Sicilia importante è la coltivazione di agrumi che vengono in buona parte esportati.

La distanza tra Paese legale e Paese reale

Gli anni che vanno dal 1861 al 1876 vengono definiti gli anni della Destra Storica. L’espressione Destra Storica nasce dal fatto che questa compagine governativa era per lo più costituita da conservatori e moderati. L’aggettivo “storica” invece fu aggiunto dopo, per sottolineare il ruolo storico nella formazione dello Stato di questi primi 15 anni post-unitari.

Eredi politici di Cavour, gli esponenti della Destra erano di estrazione sociale omogenea. Quasi tutti infatti provenivano dal mondo della grande proprietà terriera.  Politicamente erano liberali, economicamente liberisti.

Vi era tuttavia grande distanza dal Paese reale, come di fatto dimostrava il meccanismo delle elezioni. Solo i cittadini maschi alfabetizzati e con un certo censo potevano votare. In sintesi, questo restringeva il corpo elettorale al 2%.

Video-lezione di sintesi 1

Il piemontismo accentrante

Una volta conseguita l’unità d’Italia, uno dei problemi che la Destra storica dovette affrontare fu quella di quale assetto amministrativo dare al nuovo Regno. In particolare si trattava di decidere se il Regno d’Italia dovesse essere caratterizzato da:

  • un sistema accentrato, in cui è il potere centrale (piemontese) a prendere capillarmente tutte le decisioni, sul modello della Francia napoleonica;
  • un sistema decentrato, in cui si lascia largo spazio all’autonomia regionale, sul modello della Gran Bretagna.

 

Si decise per la prima opzione. L’Italia fu divisa in province, governate da prefetti. I comuni invece erano governati da sindaci, non eletti ma nominati dal governo.

La prima costituzione del Regno d’Italia fu lo Statuto Albertino. Già costituzione del Regno di Sardegna, la sua adozione fu indicativa del fatto che il Regno d’Italia era concepito come un’estensione del Regno di Sardegna. Proprio per questo gli esponenti della Destra storica furono accusati di piemontesismo, ovvero di ignorare le peculiarità dei territori che al Regno di Sardegna si erano aggiunti al culmine del processo risorgimentale e che presentavano caratteristiche differenti. Uno tra tutti il Meridione.

Il pareggio di bilancio

Si può affermare che la più grande preoccupazione della Destra storica fu il pareggio di bilancio. L’unità d’Italia aveva avuto, tra le altre conseguenze, quella di unificare il bilancio degli altri stati e staterelli annessi. Il neonato Regno d’Italia nasceva poco meno di 2,5 miliardi di lire di debito, il 40% del PIL dell’epoca.

Abbassamento delle tariffe doganali e vendite all’asta

Per ottenere tanto agognato pareggio di bilancio, gli esponenti politici puntarono sul libero scambio, abbassando le tariffe doganali interne ed esterne. Il Ministro delle Finanze all’epoca era Quintino Sella (1827-1884).

Un altro provvedimento fu quello di requisire e vendere terreni della chiesa e dello Stato. Questa operazione avrebbe potuto effettivamente migliorare le condizioni della popolazione, ma si decise di vendere i beni all’asta per massimizzare le entrate. Questa decisione favorì ovviamente coloro i quali disponevano già di un certo grado di ricchezza, cosicché la classe medio-bassa non trasse beneficio da essa.

Aumento della pressione fiscale

I provvedimenti considerati sopra non erano sufficienti per ottenere il pareggio di bilancio. Un’altra possibile soluzione era ricorrere ad una tassazione più pesante.  Se nel 1860 il prelievo fiscale si attestava intorno al 7%, nel 1880 era salito già al 11,4%. Si inasprì anche il carico fiscale relativo alle imposte dirette e indirette. Esse salirono rispettivamente del 63% e del 107%.

Imposte dirette e indirette
Le imposte dirette sono quelle tasse che vengono applicate ai redditi e/o al patrimonio in generale (proprietà, immobili, terreni agricoli ecc.) e vengono pagate dai cittadini direttamente al fisco. Un esempio di imposta diretta nell’Italia attuale è l’IMU (Imposta municipale unica). Le imposte indirette invece si legano al consumo, quindi alla compravendita di beni e servizi. Dato che le imposte indirette colpiscono tutti i consumatori, sono più gravose per quei cittadini che dispongono di meno ricchezza. Un esempio di imposta diretta nell’Italia attuale è l’IVA (Imposta sul valore aggiunto).

Un’imposta indiretta che fu particolarmente invisa fu l’imposta sul macinato, introdotta nel 1868. Tale tassa si applicava ai prodotti frumentari. Essendo sostanzialmente una tassa sul pane, essa colpiva maggiormente i ceti meno abbienti.

Il brigantaggio – 1861-1865

Un’altra sfida che la Destra storica dovette affrontare fu la questione del brigantaggio. Sottoposto da secoli alla dominazione borbonica, il Meridione d’Italia si trovo in un tempo molto breve davanti a numerose conseguenze legate all’Unità. In particolare:

  • la caduta dominio borbonico aveva lasciato un gran numero di ex soldati senza un’occupazione;
  • l’aumento della pressione fiscale;
  • la coscrizione obbligatoria, che privava molte famiglie dei padri e mariti, unica vera fonte di reddito;
  • le commesse statali, che furono sistematicamente assegnate alle aziende del nord.

 

Da questo malcontento nacque il fenomeno storico del brigantaggio, fenomeno che attraversò l’Italia Meridionale tra il 1861 e il 1865. I briganti godevano dell’appoggio e della complicità della povera popolazione. I loro crimini erano considerati atti di giustizia sociale. I briganti bruciavano gli archivi dai quali il governo prendeva in nomi per la leva e per il fisco. Non di rado i briganti, ad esempio, rubavano capi di bestiame a ricchi latifondisti in cambio di un riscatto.

La repressione del brigantaggio: la legge Pica – 1863

Sebbene gli atti dei briganti fossero certamente sovversivi, la Destra storica non comprese come essi derivassero in buona parte da un profondo disagio sociale e da un senso di ingiustizia, di cui non accolse le istanze. Il governo infatti rispose al fenomeno del brigantaggio con una repressione durissima. La maggiore espressione di questa risposta repressiva fu la legge Pica del 1863. In base a questa legge:

  • chiunque avesse fatto parte di un gruppo armato di almeno tre persone sarebbe stato denunciato al tribunale militare.
  • Furono inoltre istituite delle giunte provinciali con il compito di stilare le liste con i nominativi dei briganti e dei sospetti.
  • La legge puniva con la fucilazione o i lavori forzati a vita chiunque avesse opposto resistenza armata alla forza pubblica, senza fare alcuna distinzione.

 

Per applicare tali leggi nel Meridione fu inviato un esercito di 120000 uomini. Si stima che i briganti vittime della legge Pica tra il 1861 e il 1865 siano stati tra i 18000 e i 55000.

Video-lezione di sintesi 2

https://youtu.be/RW4Q7_IVN1U

La Questione Romana –  1861- 1870

L’altra grande questione che i governi della Destra Storica dovettero affrontare fu l’annosa questione romana. Non era ammissibile pensare ad uno Stato italiano di cui la capitale non fosse Roma. E del resto il Parlamento già il 27 marzo 1861 aveva votato una mozione in tal senso. La questione non era affatto di facile soluzione. Di mezzo vi era l’alleanza tra Napoleone III e Pio IX.

Iniziativa garibaldina e caduta del governo Rattazzi – 1862

Un primo tentativo di conquista della città eterna fu realizzato da Garibaldi, contro ogni parere del governo. L’iniziativa garibaldina non ebbe alcun esito se non la caduta del governo Rattazzi. Il governo infatti aveva inviato l’esercito ad intercettare e a fermare Garibaldi. Lo scontro a fuoco che ne seguì sull’Aspromonte, proprio perché scontro tra Italiani e Italiani,- una battaglia civile si potrebbe definirlo -, apparve scandaloso all’opinione pubblica, sopratutto perché a seguito dello scontro il popolarissimo Garibaldi fu arrestato.

Dalla Convenzione di settembre alla Terza Guerra d’Indipendenza – 1864-1866

Per stabilizzare la situazione diplomatica con lo Stato Pontificio e la Francia di Napoleone III,  durante il suo governo, Minghetti firmò la Convenzione di settembre, un accordo diplomatico secondo cui l’Italia rinunciava alle sue pretese sulla città eterna in cambio dello sgombero delle truppe francesi. La ricezione di questo documento non fu univoca, come pure ambigue erano le intenzioni italiane rispetto a Roma. Prova ne è che lo stesso mese il governo spostò la capitale da Torino a Firenze, ben più vicina a Roma.

Il processo risorgimentale compì un ulteriore passo con la Terza Guerra d’Indipendenza2 (20 giugno-12 agosto 1866), grazie alla quale l’Italia, affiancandosi alla Prussia di Bismarck contro l’Austria, riuscì ad ottenere il Veneto, Mantova, Udine e Pordenone, nonostante la fallimentare conduzione del conflitto da parte italiana.

La presa di Roma

Il dibattito sulla questione romana si riaccese nel 1867. Non solo il dibattito, ma anche l’azione. Ancora una volta Garibaldi, partendo dalla Toscana cerco di prendere Roma, ma fu fermato a Mentana il 3 novembre dalle truppe francesi.  Come riprendere Roma? Ancora una volta il bellicismo prussiano avrebbe favorito l’Italia. Dopo la guerra austro-prussiana del 1866, la Prussia era impegnata in in un conflitto contro la Francia, la guerra franco-prussiana del 1870. L’Italia avrebbe affiancato al Francia soltanto in cambio di aperture verso la questione romana, aperture che Napoleone non concesse. Il governo italiano rimase dunque neutrale e quando nel 1870 Napoleone III abdicò, un corpo di Bersaglieri guidati dal generale Cadorna, aprirono una breccia a Porta Pia e si impossessarono della città, avendo facile ragione delle truppe papali (20 settembre 1870). Roma diventava così la capitale d’Italia.

La legge delle guarentigie e la bolla Non expedit

Alla presa di Roma seguì un plebiscito per mezzo del quale la città e il Lazio furono annessi al Regno d’Italia. Questa nuova situazione geopolitica non poteva che scontentare il pontefice Pio IX, che considerava la presa di Roma un atto usurpatorio. Lo Stato italiano, per riconciliarsi con il papa promulgò quindi la legge delle guarentigie, che prevedeva tutta una serie di riparazioni e concessioni.

L’ultimo atto della questione romana può essere considerato l’emanazione della bolla papale Non expedit nel 1874. L’espressione latina, che significa non conviene, non giova, è in realtà un caldo invito – che è in buona sostanza un obbligo – per i cattolici a non partecipare alle elezioni o, più in generale, alla vita politica del Regno d’Italia

Video-lezione di sintesi 3

Caduta della Destra storica

La Destra storica conseguì l’obiettivo del pareggio di bilancio nel 1876. Questo risultato tuttavia aveva generato un profondo malcontento. Il 25 marzo 1876 il re affidò l’incarico al capo dell’opposizione Agostino Depretis (1813-1887). Si aprivano così i venti anni di governo della Sinistra Storica.

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