I sofisti: Protagora e Gorgia – V sec. a.C.

Sofisti cover

In questo articolo ci soffermiamo sui sofisti, ed in particolare sui più noti tra essi, Protagora e Gorgia.

Condanna e rivalutazione della sofistica

Condanna

Etimologicamente il termine sofista deriva dal greco, e significa saggio. Con questo stesso nome venivano chiamati i Sette Savi, Pitagora ed altri importanti pensatori. Tuttavia, nel V secolo il termine cambiò accezione, assumendone una peggiorativa. Senofonte definì i sofisti come i prostituti della sapienza e le cose non migliorarono con l’immagine che di essi abbiamo ereditato dai più influenti pensatori del mondo antico, Platone ed Aristotele. Si accusavano i sofisti di non cercare la verità per il puro amore di essa, come il vero filosofo doveva fare, bensì di utilizzare la loro sapienza come mezzo per ottenere gloria e denaro, attraverso l’utilizzo di ragionamenti falsi, capziosi e tendenziosi.

In molti dialoghi platonici essi svolgono il ruolo degli oppositori in malafede di Socrate, e dunque Platone li considera pensatori perversi, cioè di pensatori che usano il ragionamento per fini ben diversi dalla
ricerca della verità. Tale
damnatio memoriae mostra ancora le sue tracce nel linguaggio ordinario: un sofisma nell’italiano corrente, è in effetti un ragionamento astruso, disorientante, poco limpido e per lo più falso.

Rivalutazione

Tuttavia, almeno negli ultimi decenni, ma timidamente anche prima1, gli studiosi di filosofia antica hanno promosso una rivalutazione dei sofisti: dobbiamo infatti ricordare che il passaggio dal tema naturale a quello antropologico nel corso degli esordi della filosofia occidentale, fu effettuato proprio grazie alla riflessione dei sofisti, ancora prima di Socrate. Essi introdussero nella speculazione filosofica una sorta di umanesimo attraverso la riflessioni su temi ad oggi ancora importantissimi. Tra questi la contestazione della metafisica, l’attenzione verso il linguaggio, la questione della dimensione politica dell’uomo e delle leggi. 

Protagora

La biografia di Protagora (481, Abdera – 411, Mileto), come di quasi tutti i filosofi antichi, è molto scarna. Di lui si sa per certo che visse durante l’epoca di Pericle e, anzi, con questi collaborò per la costituzione dell’ordinamento di Thurii, una colonia panellenica. Per il resto viaggio molto, offrendo i suoi servigi di sapiente di luogo in luogo. Scrisse più opere: Le Antilogie, Sull’Essere, Sugli Dei, La verità. La tradizione vuole che sia morto in un naufragio.
Di Protagora è importante ricordare il relativismo gnoseologico, perfettamente espresso dalla famosa frase

L’uomo è misura di tutte le cose.

L’uomo è misura di tutte le cose

Per Protagora, infatti, non esiste un criterio oggettivo estraneo all’individuo: un uomo che è malato percepirà diversamente rispetto ad un uomo sano, come un miope vedrà cose diverse da un uomo con la vista perfetta. Entrambe le sensazioni sono vere, ed entrambi gli individui, il sano e il malato, il miope e chi vede perfettamente, hanno ragioni oggettive per giustificare la loro pretesa di verità. A maggior ragione, tale relativismo va oltre la semplice vita percettiva, ma include anche l’insieme delle esperienze che formano l’individuo, insieme distinguendolo dagli altri.

La stessa rinuncia si ravvisa quando Protagora si riferisce agli dei affermando:

Intorno agli dei, non posso né essere sicuro che essi esistano, né che essi non esistano, poiché molte cose sono da ostacolo a ciò: l’oscurità del tema e la brevità della vita umana.2

Questa dichiarazione di agnosticismo, contenuta nello scritto Sugli Dei, gli valse l’accusa di empietà che lo costrinse ad abbandonare Atene.

Ritornando al tema dell’uomo, bisogna dire che Protagora riconosce il massimo valore alla vita associata, e dunque alla politica. Seppure l’uomo infatti è inferiore per dotazione fisica alle bestie, tuttavia se ne distingue per intelletto, ma soprattutto per il modo di vivere associato. Il miglior modo di far parte e costituire una comunità (che, ricordiamo, è la polis) è coltivare l’areté, la virtù, che in Protagora è la capacità di condurre una buona vita sia nella sfera pubblica che nel privato. Condurre una buona vita pubblica e privata è possibile solo nella misura in cui ci si sa accusare e difendere nei tribunali, si sanno amministrare casa e famiglia, si sa prendere parte ad un dibattito pubblico.

Lo studio del linguaggio

Tale capacità deve essere educata, ed è questo il ruolo che il sofista/sapiente deve avere. Per preparare gli individui ad una vita pubblica e privata virtuosa, il sofista deve educarli al linguaggioMa non solo questo: un uso fruttuoso del linguaggio deve passare per lo studio di quest’ultimo stesso. Non a caso Protagora si soffermerà sullo studio dei ragionamenti, dei nomi, dei termini, dei tempi verbali. Sebbene si possa dire, come molti hanno sostenuto, che fare filosofia sia analizzare il linguaggio, è con Protagora che, per la prima volta, tale studio diviene cosciente ed esplicito.

Gorgia

Il tema del linguaggio è cruciale anche nel secondo grande sofista, Gorgia da Lentini (Lentini, 485 a.C. – Larissa, 375 a.C.), ma prima diremo qualcosa della vita di questo pensatore. Egli acquisì ben presto fama e spesso fu mandato dalla città di Siracusa come ambasciatore. Riscosse molto successo nei suoi viaggi di città in città, tanto da essere considerato un maestro di retorica, concetto che definiamo di seguito.

Retorica
Il termine deriva dal greco rhetorikè téchne, ovvero ‘l’arte del dire’. La retorica è l’arte di servirsi di specifici strumenti linguistici al fine di persuadere il proprio interlocutore/il proprio uditorio della bontà della tesi che si sostiene. La retorica antica si compone generalmente di tre parti: 

  1. l’inventio, cioè la ricerca degli argomenti;
  2. la dispositio, cioè l’ordine degli argomenti,
  3. l’elocutio, cioè la capacità di adornare gli argomenti presentati nelle prime due fasi attraverso il linguaggio.

 

La retorica, come arte della persuasione, raggiunse il suo apice, per l’appunto, con Gorgia. Generalmente i sofisti si vantavano di essere in grado di dimostrare/confutare attraverso la retorica qualsiasi tesi. Nel solco delle retorica si colloca anche l’eristica, ovvero la capacità di sfruttare le ambiguità del linguaggio per vincere una disputa.

Scrisse diverse opere. Di queste le più rilevanti dal punto di vista filosofico sono Del non essere (o Della Natura) e Elogio a Elena. La prima opera è particolarmente importante: il titolo fa il verso all’opera di Melisso di Samo, ed è volutamente provocatorio.

Le tesi di Gorgia

Questo testo è inoltre importante per le famose tesi in esso contenute e che elenchiamo di seguito:

  1. Nulla esiste;
  2. Se anche qualcosa vi fosse, essa non sarebbe conoscibile dall’uomo;
  3. Se anche fosse conoscibile, essa non sarebbe comunicabile.

 

L’insieme di queste tre tesi, come appare evidente, capovolge i risultati della scuola eleatica. La prima tesi discende
dall’impossibilità, stando alla definizione parmenidea di essere, di attribuire alcunché all’essere: se dunque nulla si può attribuire all’essere, ne deriva che esso non esiste. La seconda tesi deriva dal fatto che i nostri contenuti mentali, i nostri pensieri, non sono oggetti, e dunque tutto ciò che pensiamo in realtà non esiste. Prova ne è che possiamo pensare senza difficoltà a entità immaginarie e ad eventi mai accaduti o che addirittura non potranno mai accadere. La terza tesi presenta la stessa radicalità che caratterizza le precedenti: con essa Gorgia sostiene che il linguaggio non coglie la realtà. Nella comunicazione tra individui, il linguaggio è veicolo solo per entità come i nomi e non le cose per cui quei nomi starebbero.

Inoltre, non vi è alcuna verità oggettiva che il linguaggio possa carpire, ed anzi è sbagliato pensare che il linguaggio abbia quella funzione: per Gorgia infatti il linguaggio ha un’utilità meramente prammatica, e cioè quella di persuadere il prossimo.

Nell’Encomio di Elena Gorgia afferma che la parola è: 

[. . . ]un potente signore, che col più piccolo e impercettibile dei corpi riesce a compiere le imprese
più divine.

Platone attribuisce a Gorgia l’affermazione in base alla quale il sofisti sono i maggiori sapienti: se, infatti, un malato dovrà prendere una medicina dal cattivo sapore, probabilmente il medico non riuscirà a convincerlo, mentre il retore sì, poiché conosce la tecnica retorica.

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